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Olio di palma: la maggior parte diventa biocombustibile

È ormai noto quanto le coltivazioni di palme da olio contribuiscano alla deforestazione nelle regioni tropicali.

Soprattutto in Indonesia e Malesia, grandi estensioni di foreste vengono abbattute per far spazio alle palme, con gravissime conseguenze per il clima mondiale, gli ecosistemi e la diffusione di virus d’origine zoologica.

Quello che pochi sanno, però, è che l’olio di palma utilizzato nell’industria alimentare rappresenta solo una percentuale minoritaria. Il 67% delle importazioni europee di olio di palma e il 70% di quelle italiane, infatti, sono destinate alla produzione di biocarburanti e bioenergie.

Dal nuovo dossier di Legambiente emerge che in Italia si è bruciato nel 2019 oltre un milione di tonnellate di olio di palma, oltre a 150 mila tonnellate di olio di semi di girasole, e 80 mila tonnellate di olio di soia.

Legambiente ha poi calcolato i costi che cittadini e imprese devono pagare indirettamente per un prodotto che provoca la distruzione delle foreste tropicali e aumenta la CO2 nell’atmosfera. Si tratta di 16 euro a testa all’anno per carburanti “rinnovabili”, per un totale di circa 300 milioni di euro nel 2019, solo per l’olio di palma.

In aggiunta, paghiamo una piccola quota nella bolletta dell’elettricità per i biocombustibili (69% da olio di palma e di soia), per un totale che si avvicina ai 600 milioni di euro. 900 milioni in tutto.

L’olio vegetale non è una fonte d’energia rinnovabile e non va fatta passare come tale.

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