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Cresce l’impatto ambientale dello streaming: ecco come limitarlo

Lo streaming di contenuti audio e video è sempre più popolare e il suo impatto ambientale è diventato ormai un tema molto attuale e controverso.

Il 2020 è stato l’anno dell’esplosione della fruizione di video in streaming: a causa del lockdown gli utenti della rete si sono rivolti con maggiore frequenza a questo tipo di intrattenimento.

I dati sono chiari e mostrano una crescita esponenziale del volume traffico, soprattutto su alcune piattaforme molto popolari.

Durante la pandemia di Covid, il traffico globale di Internet è cresciuto del 40% circa (dati Sandvine) e la categoria che più ha contribuito a questo aumento è proprio lo streaming video. Basti pensare che a livello globale ogni giorno vengono visualizzate circa 1 miliardo di ore di video su YouTube e 140 milioni di ore su Netflix.

Nei mesi di lockdown i video hanno costituito il 58% del traffico complessivo del web. Un volume così elevato che l’Unione Europea ha dovuto chiedere alle principali piattaforme di ridurre i bit-rate dei video trasmessi in streaming in Europa, così da evitare di sovraccaricare i server e garantire la sostenibilità di servizi necessari allo smart working e alla didattica a distanza.

L’impatto ambientale dello streaming: elettricità ed emissioni di CO2

Un recente studio sull’impatto ambientale dello streaming, realizzato dagli istituti di ricerca della Purdie University, della Yale University e del Massachussets Institute of Technology, ha rilevato che:

  • 1 ora di videoconferenza causa l’emissione di 150 grammi di anidride carbonica
  • un video in streaming di 60 minuti genera circa 450 grammi

Se confrontate con quelle le emissioni delle automobili, ad esempio, (un litro di benzina genera 3200g di CO2) queste cifre appaiono trascurabili, ma in periodi di saturazione diventano rilevanti.

Inoltre, lo streaming ha un impatto ambientale anche in quanto a consumo di acqua: un’ora di videoconferenza può costare 2 litri d’acqua , mentre una di streaming fino 12 litri.

A questo studio si è prontamente opposta Netflix con i dati calcolati con uno strumento chiamato Dimpact. Si tratta di un progetto finanziato proprio da Netflix e da altre grandi aziende (come BBC e Sky) e sviluppato dai ricercatori dell’Università di Bristol.

Le cifre ricavate sono decisamente più contenute: un’ora di video in streaming su Netflix equivarrebbe a “solo” 100 g di CO2, la stessa quantità che emetterebbe un’auto percorrendo circa 500 metri o un condizionatore d’aria da 1.000W in 40 minuti di funzionamento.

Ad ogni modo, anche se i calcoli di Dimpact fossero quelli più corretti, l’impatto ambientale di Netflix resterebbe enorme a causa dei suoi 200 milioni di utenti.

Ridurre l’impatto dello streaming si può: facciamo la nostra parte

Le grandi aziende del tech si stanno muovendo per migliorare la propria sostenibilità ambientale. Google punta entro il 2030 a utilizzare il 100% di energia carbon free per alimentare i suoi data center. Obbiettivi simili si sono poste anche Microsoft, Netflix ed Apple.

Ma noi cittadini possiamo agire in qualche modo?

La risposta è certamente sì. Ognuno di noi può ridurre attivamente il proprio impatto nell’utilizzo dei servizi di streaming.

Ecco 3 consigli pratici:

  1. DISATTIVARE L’AUTOPLAY. Questa funzione crea una sequenza di video suggeriti dall’algoritmo della piattaforma, i quali sono spesso indesiderati. In questo modo, si consuma molta più energia.
  2. RIDURRE LA RISOLUZIONE DEI VIDEO. Impostare una risoluzione standard anziché una in alta definizione (HD), è una scelta sostenibile e permette di ridurre l’impatto ambientale fino all’86%. Questo perché una definizione più alta significa un volume di dati maggiore da trasmettere e quindi un consumo maggiore di energia elettrica.
  3. SCARICARE I VIDEO (download) in fasce orarie in cui il traffico web è ridotto per guardarli in un secondo momento senza l’impiego della connessione internet (offline).

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