
Emissioni di CO2: puntare sul metano (in attesa di elettrico e idrogeno)
Con multe miliardarie per le case automobilistiche che non rientrano nei limiti massimi di emissioni medie, la UE, da ormai una ventina d’anni, sta spingendo il sistema dei trasporti a una conversione. L’obbiettivo è ridurre sensibilmente le emissioni di CO2 entro il 2030.
Quando pensiamo all’inquinamento atmosferico, tendiamo a considerare solo l’enorme mole di traffico che si riversa ogni giorno nelle nostre città, o più raramente, al numero ancora sorprendentemente alto di caldaie di vecchia (e vecchissima) generazione che sono ancora in uso.
In realtà, gran parte dell’anidride carbonica prodotta è causata dal trasporto pesante su gomma. Approfondiremo questo argomento più avanti in questo articolo, ora occupiamoci di rispondere alla domanda: il metano emette meno CO2 di diesel e benzina?
Carburanti a confronto
Per rispondere a questa domanda, le aziende italiane specializzate nella progettazione di sistemi per la conversione a gas dei veicoli, Ecomotive Solutions e Autogas Italia, hanno effettuato una serie di test su consumi e emissioni.
L’auto scelta per lo studio è stata una Fiat 500 X 1.6 Torq 4 cilindri 1598 cc 81 Kw (110 hp) con cambio meccanico Euro 6, con motore a benzina convertito a metano.
Sulla base dei test su strada su percorso misto, sono stati rilevati i seguenti dati:
- Costo al chilometro: benzina 0,104 euro, contro 0,047 euro del metano.
- Emissioni di CO2: 128 g/km, il 25% in meno del benzina.
Pertanto, a conti fatti, se con 10 euro di benzina la Fiat 500 X è in grado di percorre circa 96 Km, con il metano la distanza sale a ben 213 km.
Allo stesso tempo, la riduzione nelle emissioni di CO2 consente un risparmio di 420 kg ogni 10.000 km.
Questi dati messi a confronto restituiscono una visione molto chiara dei vantaggi che una conversione al metano porterebbero all’ambiente e al nostro portafoglio.
Trasporti pesanti, emissioni pesanti
Se per quanto riguarda il trasporto leggero rimangono pochi dubbi sulla convenienza del metano, per i trasporti su TIR può apparire un azzardo.
Il trasporto pesante, infatti, è da sempre affidato a grandi camion che montano potenti motori diesel, in grado di emettere quantità impensabili di CO2 nell’aria.
Un camion diesel, oltre le 3,5 tonnellate, emette mediamente tra i 600 e i 700 grammi di CO2 per ogni chilometro percorso. Un TIR di grandi dimensioni, carico al 55%, può superare 1 Kg di CO2 emessa per chilometro. Per dare le giuste proporzioni a questi dati, un’auto berlina diesel di segmento C come una Golf 8 2.0 Tdi da 115 cavalli, emette 107 grammi di CO2 per chilometro. Ciò significa che un tir a medio carico ha un impatto pari a quello di dieci automobili medie.
Non può sorprendere, perciò, che le emissioni del trasporto pesante si contribuiscano per circa il 5-6% alle emissioni totali dell’Europa e circa il 30% del settore trasporti nel suo complesso.
Stiamo parlando, infatti, di oltre 6 milioni di mezzi pesanti che viaggiano in Europa, tra cui quasi 250.000 sono camion e TIR da oltre 11 tonnellate a pieno carico.
TIR alimentati a metano: è possibile?
L’Unione europea ha fissato limiti alle emissioni anche per i trasporti pesanti: i costruttori di camion e TIR hanno ora l’obbligo di ridurre del 30% le emissioni di CO2 entro il 2030, rispetto ai valori del 2019. Inoltre, è stato fissato un obiettivo intermedio che consiste in una riduzione del 15% entro il 2025, anno in cui almeno il 2% dei veicoli pesanti venduti dovrà essere a emissioni zero.
Per rispondere a queste disposizioni molte case automobilistiche hanno presentato modelli totalmente elettrici dei loro furgoni (ad esempio, Nissan con il il suo e-NV200 e Mercedes con l’eVito), ma la ancora insufficiente autonomia delle batterie ne frena la diffusione.
Come soluzione intermedia, in attesa di veicoli elettrici affidabili, il metano si propone come il più conveniente.
La tecnologia per la conversione delle flotte dei TIR e dei camion da diesel a metano è già realizzabile, con il prima linea la multinazionale canadese Westport Fuel Systems, uno dei leader di mercato.
Westport Fuel Systems afferma, infatti, di essere in grado di ridurre del 20% le emissioni di CO2 dei motori diesel per i mezzi pesanti, grazie al suo sistema Hpdi 2.0.
Inoltre, se il metano impiegato provenisse da fonti rinnovabili, allora le emissioni scenderebbero realmente a zero.
Critiche e ostacoli
Ostacolo alla conversione dei trasporti pesanti al metano è la limitatezza della rete di rifornimento: i distributori di metano Cng per automobili in Europa superano le 3500 unità, ma sono solamente 252 i distributori Lng per camion e TIR. Occorre che la Ue si impegni anche in questo senso e favorisca l’aumento dei punti di rifornimento su tutto il territorio.
Mentre, nel dibattito scientifico, organizzazioni ambientaliste come la Transport & Environment criticano la scelta del metano a causa delle alte emissioni di ossidi di azoto (NOx) che genera la sua combustione. Si tratta, infatti, di molecole molto dannose per il sistema respiratorio. Gli studi in merito non sono, però, tutti concordi con questo.
Ciò che è certo è che il settore dei trasporti deve rapidamente cambiare rotta e adottare nuove soluzioni per ridurre il proprio impatto sul pianeta, e il metano si configura come uno passaggio fondamentale in attesa di tecnologie risolutive come l’elettrico e l’idrogeno.
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Il gas supera il carbone nella generazione dell’energia
Grazie all’aumento del costo delle emissioni di CO2 e il crollo del prezzo del gas, già iniziato nel 2019 e proseguito durante l’emergenza Covid, generare energia elettrica da carbone sta diventando sempre meno conveniente.
Nel 2019, infatti, la generazione a carbone è stata svantaggiosa dal punto di vista economico rispetto al gas. Ed è un dato senza precedenti la velocità alla quale il carbone sta perdendo terreno nei confronti di gas e rinnovabili.
Il gas, in particolare, si è posto come la soluzione energetica più conveniente per alimentare le centrali su tutto l’arco del 2019. Un vantaggio che il gas non era riuscito a mantenere per un periodo così lungo da dieci anni a questa parte, ovvero dal periodo della recessione.
Il prezzo del gas in ribasso
Il punto cruciale è stato il rally dei diritti per l’emissione di CO2 che è rimasto stabilmente sopra i 20€ a tonnellata, arrivando a toccare i 29€ durante l’estate.
A contribuire, è stato anche l’eccesso di gas sul mercato, dovuto all’enorme incremento della produzione negli Stati Uniti.
Sul principale hub europeo, il Ttf olandese, di conseguenza il prezzo medio del gas è sceso del 40%, toccando i 13,50 €/MWh, il minimo negli ultimi 15 anni.
A questo ribasso si è aggiunto, dal marzo di quest’anno, il crollo dei consumi conseguente alle misure di prevenzione anti-covid che hanno determinato la chiusura di tutte le attività non essenziali. Il prezzo del gas, perciò, ha continuato la sua discesa avvicinandosi a valori negativi.
Anche alla riapertura delle attività economiche alla fine di maggio, contrariamente a quanto è accaduto per il petrolio, non c’è stato un significativo effetto sul prezzo del gas.
Inoltre, si prevede che questa tendenza dovrebbe proseguire grazie a un ulteriore aumento dell’offerta di Gnl.
La capacità produttiva globale, secondo la società di consulenza Wood Mackenzie, infatti, salirà ancora del 7% (80% negli Usa e il resto in Australia).
Il sorpasso del gas sul carbone
Per la prima dal 2009, in Europa è avvenuto un reale switch da una fonte d’energia a un’altra: le centrali a gas si sono rivelate più competitive di quelle a carbone e a lignite.
Le stime riportano che la generazione a carbone sia scesa del 24% durante lo scorso anno, a fronte di un aumento dell’11% di quella del gas: ciò equivale a un taglio della CO2 di ben 42 milioni di tonnellate, una quantità pari a quasi la metà delle emissioni del nostro Paese.
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Legame fra inquinamento e COVID-19: parte il progetto PULVIRUS
Diversi recenti studi scientifici (ne abbiamo citati alcuni in un recente articolo) hanno messo in relazione la diffusione del Covid-19 con la concentrazione di inquinanti nell’aria.
Questa ipotesi è partita dalla semplice osservazione delle zone più colpite dall’epidemia, che coincidono con quelle maggiormente inquinate, nonché maggiormente popolate.
Gli studi realizzati fino ad oggi, tuttavia, non sono stati del tutto rigorosi e convincenti. Di conseguenza, urge che sia fatta chiarezza sulla questione in modo ufficiale.
A questo scopo, la nuova alleanza scientifica fra ENEA, Istituto Superiore di Sanità (ISS) e Sistema Nazionale per la Protezione Ambientale ha annunciato l’avvio di un importante progetto di ricerca.
Si chiama progetto PULVIRUS e avrà l’obbiettivo di fornire informazioni e risposte sulla relazione di inquinamento atmosferico e COVID-19, su basi strettamente scientifiche.
Gli obbiettivi del progetto
C’è un legame concreto fra inquinamento atmosferico e diffusione della pandemia?
In che modo avvengono le interazioni fisiche, chimiche e biologiche tra i virus e le polveri sottili?
Quali effetti, e di quale portata, ha avuto la quarantena sull’inquinamento dell’aria e sui gas serra (soprattutto CO2 e N2O)?
Sono questi gli interrogativi a cui PULVIRUS tenterà di dare una risposta.
Per lo studio saranno utilizzate analisi “in silico”, in cui viene simulata al computer l’interazione tra virus e particolato atmosferico, e anche un modello biologico che riproduce al computer le caratteristiche del virus SARS-CoV-2.
Dall’analisi preliminare si è rilevato che le concentrazioni dei vari inquinanti seguono andamenti diversi. La diminuzione del biossido di azoto (NO2), ad esempio, riguarda le zone in cui è presente il traffico veicolare; e l’andamento mutevole del particolato è dovuto ai cambiamenti del meteo e alle reazioni chimiche che avvengono nell’atmosfera.
Pertanto, l’intento del progetto è di effettuare un’analisi rigorosa e approfondita, sulla base di protocolli scientifici verificabili, e raccogliere informazioni utili a comprendere meglio i fenomeni in atto.
La durata
PULVIRUS avrà una durata di un anno, ma non sarà necessario aspettare così a lungo per vedere i primi risultati.
In qualche mese, infatti, saranno già disponibili risultati significativi: prima fra tutti, l’analisi di fattibilità di un sistema di rivelazione precoce, che ci si augura potrà essere attivato prima del prossimo autunno.
I dati, i modelli e le elaborazioni, nonché i rapporti e le pubblicazioni, saranno resi accessibili ai cittadini e alla comunità scientifica nazionale. Grazie a un sito web dedicato, questa grande mole di documenti costituirà un fondamentale database consultabile per successivi studi.
Presto avremo le risposte che attendiamo.
Nel caso in cui la correlazione tra diffusione dei virus e particolato atmosferico fosse dimostrata scientificamente, essa sarà l’ennesima ragione per cui ridurre l’inquinamento cittadino prodotto da riscaldamenti e autoveicoli.
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