
Geotermico in Italia, uno straordinario potenziale
Mentre crescono fotovoltaico e eolico, il geotermico in Italia sembra rimasto al palo nonostante il grande potenziale termico del nostro territorio.
Secondo il documento “Fonti rinnovabili in Italia e in Europa” del Gse (da dati Eurostat), nel settore elettrico il geotermico contribuisce solo in minima parte alla produzione di energia da fonti rinnovabili.
In testa abbiamo quella idraulica col 42%, poi la solare fotovoltaica col 20%, le bioenergie col 17%, quella eolica col 16% e, infine, la geotermia che si ferma al 5%.
Eppure le ultime stime dell’Unione geotermica italiana (Ugi) ci dicono che nel nostro territorio sono disponibili circa 500 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio.
Una quantità d’energia che equivarrebbe a circa 3 volte tutta l’energia primaria che abbiamo consumato nel 2018 (dati MISE).
Siamo di fronte a uno straordinario potenziale energetico ancora tutto da sfruttare.
Attualmente, infatti, la Toscana è l’unica regione a possedere centrali geotermoelettriche.
Sono ben 1.120.000 le persone in questa regione che alimentano le proprie abitazioni con elettricità generata da geotermico.
I progetti dell’Unione Europea
In linea con gli obbiettivi fissati nel Green Deal, la Commissione Europea finanzia la ricerca e lo sviluppo dell’energia geotermica attraverso il programma Horizon 2020.
Secondo il Servizio Comunitario di Informazione in Materia di Ricerca e Sviluppo (Cordis), infatti, la geotermia rappresenta una «fonte di energia alternativa potenzialmente rivoluzionaria».
Tra gli svariati progetti in corso troviamo:
- Il progetto DEEPEGS, con i test di perforazione in Islanda;
- il progetto GEMex, che in collaborazione con ricercatori messicani mira a valutare due siti della Cintura vulcanica trans-messicana;
- il progetto SURE, che ha sperimentato l’uso della perforazione a getto d’acqua radiale per rendere più economici i pozzi geotermici
- il progetto GeoWell, che ha sviluppato e testato nuove tecnologie per la progettazione, il completamento e il monitoraggio dei pozzi ad alta temperatura;
- i progetti Cheap-GSHPs, GEOCOND e GEOTeCH, che hanno promosso nuove innovazioni per l’applicazione dell’energia geotermica nell’alimentazione e il riscaldamento degli edifici;
- il progetto MATChING, che ha lo scopo di ridurre la domanda di acqua di raffreddamento nelle centrali termoelettriche e geotermiche.
La Francia punta sulla geotermia
Entro il mese di gennaio 2020, è atteso il completamento di un impianto geotermico sul territorio francese per il riscaldamento che ha richiesto un investimento di 25 milioni di euro.
La centrale servirà ad alimentare la rete di teleriscaldamento locale raggiungendo circa 12.000 edifici.
In termini di emissioni, invece, il risparmio sarà di 22.800 tonnellate di CO2 l’anno.
Il sito scelto è Vélizy-Villacoublay, nella periferia di Parigi e non distante dalla famosissima reggia di Versailles.
Che si tratti di geotermico per il riscaldamento degli edifici o geotermoelettrico per la generazione di elettricità utilizzando il calore del sottosuolo, il potenziale energetico del nostro territorio rimane tuttora non sfruttato.
Forse varrebbe la pena di guardare all’Europa e trarre esempio dai paesi che stanno investendo in questo senso, perché il geotermico potrebbe rivelarsi una vera svolta nel settore dell’energia.
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Le energie rinnovabili spingono la ripresa e l’occupazione
Grazie alle energie rinnovabili a supporto della ripresa economica, nel 2019 sono cresciuti i posti di lavoro e gli investimenti.
Nonostante il periodo durissimo per l’economia, i dati mostrano che il settore green continua a crescere e a creare occupazione: oltre mezzo milioni di occupati in più, tra cui molti lavoratori specializzati.
Un considerevole aumento che è da attribuirsi alla nascita di numerose start-up con valori e obbiettivi green.
Gli occupati nel settore delle energie rinnovabili sono quasi 11,5 milioni, con una importante presenza femminile rispetto al settore dei combustibili fossili.
Il continente che detiene il primato di lavoratori specializzati nel settore è l’Asia, con il 63% del totale, soprattutto nel fotovoltaico e nei biocarburanti.
In Africa, invece, prevale il fotovoltaico Off-grid, ovvero quegli impianti non connessi alla rete pubblica che permettono di sfruttare direttamente l’elettricità prodotta.
L’occupazione nelle energie rinnovabili: fotovoltaico in testa
Il fotovoltaico è il settore delle energie rinnovabili che impiega più lavoratori.
Secondo il recente rapporto “Renewable Energy and Jobs – Annual Review” pubblicato da IRENA (Agenzia Internazionale per le Energie Rinnovabili), gli occupati nel fotovoltaico sono 3,8 milioni su un totale di 11,5.
A seguire, troviamo:
- Biocarburanti liquidi: 2,4 milioni di occupati;
- Idroelettrico: 1,9 milioni di occupati;
- Eolico: 1,1 milioni di occupati;
- Solare termico: 823 mila occupati.
La ripresa economica post covid passa dalle rinnovabili
Le fonti rinnovabili, oltre a contrastare il cambiamento climatico e l’inquinamento, possono compensare la perdita di occupazione dovuta al declino delle fonti fossili.
Secondo un altro documento pubblicato da IRENA, “Post Covid Recovery“, circa 5 milioni e mezzo di lavoratori potrebbero essere impiegati nelle rinnovabili nei prossimi 3 anni.
Questo “riassorbimento” sarebbe poi destinato a continuare e porterebbe a 30 milioni il numero di lavoratori nelle energie rinnovabili entro il 2030.
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Idrogeno, l’Italia può diventare hub europeo
Il nostro Paese ha tutte le carte in regola per diventare di cruciale importanza per la transizione energetica, che secondo i piani dell’Unione Europea, porterà all’abbandono delle fonti d’energia fossili entro il 2050.
Lo afferma un importante studio realizzato da The European House – Ambrosetti, in collaborazione con Snam, intitolato H2 Italy 2050: una filiera nazionale dell’idrogeno per la crescita e la decarbonizzazione dell’Italia.
Lo studio, presentato qualche giorno fa al forum di Cernobbio 2020, mette in luce le considerevoli prospettive del sistema Italia nella transizione energetica dell’Europa.
Siamo in prima linea
Il nostro Paese può, dunque, assumere un ruolo di primo piano nella realizzazione e il consolidamento della filiera dell’idrogeno in Europa.
Oltre vantare una vastissima e molto efficiente rete di distribuzione del gas su tutto il territorio, l’Italia ha una posizione geografica perfetta, tra Europa e Africa, che favorisce le importazioni.
Sarà possibile importare idrogeno, prodotto in Nord Africa utilizzando l’energia solare, a un costo del 10-15% inferiore rispetto alla produzione nazionale. Questo grazie alla maggiore disponibilità di terreni, l’elevato irraggiamento e la scarsa variabilità stagionale.
L’Italia ha, perciò, la possibilità di diventare il ponte infrastrutturale tra l’Europa e il continente africano, favorendo la diffusione dell’idrogeno anche negli altri Paesi europei.
Inoltre, l’Italia, seconda nazione manifatturiera del Continente, è all’avanguardia nei settori collegati e cruciali:
- primo produttore in Europa nella produzione di tecnologie termiche per l’idrogeno (quota di mercato del 24%)
- secondo produttore in Europa nelle tecnologie meccaniche per l’idrogeno (quota di mercato del 19%)
- secondo produttore in Europa nelle tecnologie per la produzione di idrogeno rinnovabile (quota di mercato del 25%).
Vantaggi e prospettive
Il prezzo dell’idrogeno da rinnovabili continua a scendere. Nell’anno 2000 era 40 volte superiore a quello del petrolio, oggi è stimato che potrà diventare competitivo con alcuni combustibili in soli cinque anni.
Grazie alla sinergia con l’elettrico, l’idrogeno potrà sostituire i combustibili fossili nei settori che contribuiscono in larga parte alle emissioni responsabili del riscaldamento climatico.
Entro il 2050, infatti, potrebbe soddisfare circa un quarto della domanda di energia del Paese, una quota che permetterebbe al Paese di ridurre le emissioni di 97,5 milioni di tonnellate di CO2eq (- 28%).
Pensiamo alle industrie chimiche e siderurgiche e al trasporto pesante su gomma, ma anche al trasporto ferroviario non elettrificato e al settore residenziale, in particolare il riscaldamento. L’introduzione dell’idrogeno rappresenterà una rivoluzione e contribuirà fortemente al raggiungimento degli obbiettivi di decarbonizzazione.
Anche dal punto di vista economico sarà notevole l’impatto sul Pil e sull’occupazione.
Si stima, infatti, un valore aggiunto sul Pil (diretto, indiretto e indotto) tra i 22 e i 37 miliardi di euro al 2050. Contributo che sarà riconducibile anche all’aumento dell’occupazione, con la possibile creazione di nuovi posti di lavoro tra 320.000 e 540.000 al 2050.
Un piano per massimizzare i benefici
Secondo lo studio H2 Italy 2050 per sfruttare al massimo le numerose opportunità offerte dall’idrogeno l’Italia dovrebbe elaborare un piano costituito da sei punti o azioni cruciali:
- elaborare una visione e una strategia di lungo termine;
- creare un ecosistema dell’innovazione e accelerare lo sviluppo di una filiera industriale dedicata attraverso la riconversione dell’industria esistente e l’attrazione di nuovi investimenti;
- supportare la produzione di idrogeno decarbonizzato su scala nazionale;
- promuovere un’ampia diffusione dell’idrogeno nei consumi finali;
- incentivare lo sviluppo di competenze specialistiche sia per le nuove figure professionali sia per accompagnare la transizione di quelle esistenti;
- sensibilizzare l’opinione pubblica e il mondo dell’impresa sui benefici derivanti dall’impiego di questo vettore.
L’Italia ha di fronte un’opportunità con notevoli e molteplici prospettive per il futuro. Ci auguriamo che la nostra classe dirigente sappia guidare il Paese verso un ruolo di primo piano nel fondamentale settore dell’energia.
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ASOS e ARIM: gli oneri di sistema
Quando riceviamo la nostra bolletta e scorriamo tutte le voci di spesa, ce n’è una che appare un po’ misteriosa. Si tratta della voce “Oneri di sistema” e il fatto che non dipendano dall’effettivo consumo di energia ci infastidisce un po’, ammettiamolo.
Purtroppo, gli oneri di sistema non sono eliminabili e devono essere pagati da tutti i clienti, che siano residenti o non, e qualsiasi sia il fornitore scelto e il contratto sottoscritto.
A quanto ammontano?
Questa pesante voce della bolletta dell’energia elettrica ammonta al 20% del totale. Si tratta di una tassa composta da tanti costi di origini diverse, li analizzeremo più nel dettaglio nel prossimo paragrafo.
Prima, però, vogliamo sfatare un mito. Spesso si sente dire che negli oneri di sistema sarebbero compresi anche importi di bollette non pagate da clienti morosi. Non è assolutamente così, ve lo possiamo assicurare.
Gli importi non pagati, infatti, vengono recuperati attraverso altri canali.
Gli oneri di sistema nel dettaglio
Per spiegare la composizione della voce “Oneri di sistema”, facciamo riferimento al sito della ARERA, l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente.
Ecco la definizione che viene data degli oneri di sistema:
“Sono gli importi fatturati per coprire i costi relativi ad attività di interesse generale per il sistema elettrico. Tali importi sono pagati da tutti i clienti finali del servizio elettrico.
In particolare per:
- messa in sicurezza del nucleare e misure di compensazione territoriale;
- incentivi alle fonti rinnovabili e assimilate;
- copertura delle agevolazioni tariffarie riconosciute per il settore ferroviario;
- sostegno alla ricerca di sistema;
- copertura del bonus elettrico (non per i beneficiari del bonus sociale);
- copertura delle agevolazioni per le imprese a forte consumo di energia;
- integrazioni delle imprese elettriche minori e promozione efficienza energetica.”
Da questa definizione, quindi, risulta chiaro che l’introduzione del oneri di sistema ha lo scopo di rispondere a esigenze di interesse nazionale e raggiungere obbiettivi di utilità pubblica: uno tra tutti, incentivare con investimenti significativi il passaggio a fonti d’energia rinnovabili e pulite.
Accanto a voci riguardanti la fornitura d’energia e l’innovazione, ne notiamo altre che rientrano maggiormente nella sfera fiscale e potrebbero essere spostate sulla fiscalità generale.
ASOS? ARIM? Di che si tratta?
Allo scopo di semplificare la bolletta, le voci elencate nel paragrafo precedente sono state aggregate in queste due sigle:
- ASOS. Ovvero, oneri generali relativi al sostegno delle energie da fonti rinnovabili e alla cogenerazione CIP 6/92 (16% del totale della bolletta. Dati ARERA, 2019)
- ARIM, che raccoglie i rimanenti oneri generali.
Questo significa che nelle nostre bollette troveremo soltanto queste due voci che raggruppano le precedenti.
Ad esempio, la vecchia voce di spesa A3, da sempre la più onerosa, è inserita ora tra gli ASOS.
Come possiamo evitarli?
La risposta è che non possibile. I rivenditori che affermano di addebitare al cliente solo il costo dell’energia non sono del tutto sinceri.
Gli oneri di sistema, infatti, vanno pagati in ogni caso e quindi saranno presenti all’interno del costo del kWh.
Gli oneri di sistema sono costi fissi, ma possiamo sempre risparmiare scegliendo il fornitore giusto.
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