
L’idrogeno verde avrà un ruolo chiave nella transizione energetica
Secondo numerosi studi, l’idrogeno verde potrebbe arrivare a soddisfare il 24% della domanda finale di energia, riducendo al contempo le emissioni di CO2 per ben 560 milioni di tonnellate e contribuendo così alla transizione energetica.
Previsioni come questa fanno ben sperare per il futuro ma è necessario porsi alcune domande sull’idrogeno:
- È davvero sostenibile dal punto di vista ambientale?
- Sarà un giorno davvero competitivo con i combustibili fossili?
Proveremo a rispondere a queste domande ma, prima di tutto, facciamo un chiarimento: non tutto l’idrogeno è verde!
Verde, blu, grigio e le altre tipologie
No, non parliamo di gas colorati. L’idrogeno ha tutto lo stesso aspetto: è trasparente, almeno allo stato gassoso.
La ragione per cui esistono denominazioni diverse è il procedimento che viene impiegato per produrlo.
L’idrogeno, infatti, è un gas molto abbondante in natura che, però, non si trova mai allo stato “libero” ma sempre legato ad altre molecole. Deve quindi essere estratto, “separato”, da queste molecole.
Per innescare questo processo chimico, però, bisogna fornire energia. Se si tratta di energia pulita e rinnovabile, e la reazione non emette CO2 o altri gas inquinanti (come nel caso dell’idrogeno da fotovoltaico), allora l’idrogeno prodotto sarà “verde”.
Ecco la classificazione dell’idrogeno nel dettaglio:
- Idrogeno nero. Estratto dalle molecole d’acqua utilizzando energia elettrica prodotta da centrali a carbone o a petrolio. È la tipologia meno ecosostenibile.
- Idrogeno grigio. Viene estratto dal metano o altri idrocarburi emettendo carbonio, oppure può essere recuperato dallo scarto produttivo di una reazione chimica.
- Idrogeno Blu. Anche questa tipologia viene estratta da idrocarburi fossili ma la CO2 prodotta nel processo viene immagazzinata.
- Idrogeno Viola. Viene prodotto senza l’impiego di idrocarburi ma usando l’acqua grazie a energia proveniente da centrali nucleari. È quindi a emissioni di CO2 zero.
- Idrogeno Verde. Estratto dall’acqua con l’ausilio di energia elettrica rinnovabile, ad esempio prodotta da centrali fotovoltaiche, idroelettriche o eoliche.
Idrogeno da fotovoltaico sempre più competitivo
L’idrogeno da fotovoltaico, ovvero quello prodotto con corrente elettrica proveniente da centrali solari, ha visto il suo costo decrescere nel tempo.
Questa tendenza sembra destinata a continuare secondo un recente studio di BloombergNEF, che ha rivisto la sua precedente previsione al ribasso. Entro il 2050, il costo dell’idrogeno da fotovoltaico dovrebbe, infatti, scendere dell’85% (1$ al kg). In questo modo, l’idrogeno verde diventerà più competitivo del gas naturale e dell’idrogeno blu e grigio.
Tutto ciò grazie al costante calo dei costi del fotovoltaico, reso possibile a sua volta dalla maggiore automazione della produzione, dal minor impiego di silicio e argento, dall’accresciuta efficienza delle celle solari e dall’introduzione dei moduli bifacciali.
Secondo BloombergNEF, rispetto alle stime di 2 anni fa, l’elettricità da fotovoltaico costerà il 40% in meno nel 2050.
C’è, inoltre, un altro fattore determinante: la diminuzione dei costi degli elettrolizzatori.
Idrogeno verde per la transizione energetica
L’Unione Europea considera l’idrogeno verde di cruciale importanza per la realizzazione della transizione energetica e il raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050.
Come abbiamo spiegato, il potenziale dell’idrogeno verde è enorme e la sua competitività con i combustibili fossili andrà crescendo negli anni.
Rappresenta, inoltre, una grande opportunità per l’Italia, che potrebbe assumere il ruolo di hub dell’energia verde per l’Eurozona importando idrogeno verde dal Nord Africa a un prezzo del 10-15% inferiore rispetto a quello prodotto localmente (dall’analisi “H2 Italy 2050” di The European House-Ambrosetti e Snam).
L’idrogeno da solo potrebbe soddisfare il 23% della domanda energetica italiana e ridurre del 28% le emissioni nocive.
Le prospettive sembrano ottime: l’idrogeno verde avrà un ruolo chiave nel processo di decarbonizzazione dell’Europa e nella transizione energetica.
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Pompaggio idroelettrico: una risorsa rinnovabile dimenticata
Chi ha mai sentito parlare di pompaggio idroelettrico? La transizione energetica è un tema caldissimo di questi tempi e al centro dell’attenzione figurano sempre fotovoltaico, eolico e idrogeno.
L’idrogeno è la tendenza del momento e molte speranze sono riposte nelle sue potenzialità di stoccaggio al lungo termine dell’energia rinnovabile.
Questo perché le tecnologie di accumulo non sono ancora abbastanza efficienti da garantire l’apporto di elettricità nei “periodi morti” delle rinnovabili.
Si tratta, infatti, di fonti intermittenti che producono enormi quantità d’energia ma non in modo costante.
Ecco perché è fondamentale stoccarla per poi utilizzarla quando serve.
L’idrogeno prodotto attraverso il processo di elettrolisi grazie all’energia rinnovabile diventa così energia stoccata a lungo termine.
Una soluzione ideale ma che comporta una dispersione d’energia: solo il 40% è effettivamente utilizzabile.
Perché parliamo di idrogeno in un articolo sull’idroelettrico? Ve lo spieghiamo subito.
Il potenziale dell’idroelettrico in Italia
In Paesi poco montuosi come Germania e Gran Bretagna, ad esempio, lo stoccaggio dell’energia nell’idrogeno è ad oggi la soluzione migliore.
Ma che dire di Paesi con estese catene montuose come l’Italia?
Nel nostro caso esiste una soluzione più semplice ed efficiente per stoccare l’energia: il pompaggio idroelettrico.
Questo sistema, infatti, permette di avere una resa doppia rispetto al ciclo dell’idrogeno: l’80% contro il 40% (senza recupero del calore di conversione).
Secondo uno studio di Matthew Stocks, della Australian National University, nel mondo esistono più di 616mila località adatte alla costruzione di impianti di pompaggio idroelettrico a circuito chiuso.
Si tratta di impianti costituiti da due bacini, posizionati a un dislivello di almeno 100 metri uno dall’altro, tra i quali fluisce acqua allo scopo di accumulare energia.
Il potenziale di accumulo totale stimato è di 23.000 TWh l’anno, sufficiente a immagazzinare tutta l’energia elettrica prodotta nel mondo.
Per quanto riguarda l’Italia gli impianti esistenti sono di appena 8 GW (quasi tutti nel nord), una frazione del potenziale esistente.
Come funziona
Come anticipato poc’anzi, questi sistemi di pompaggio idroelettrico si basano sul travaso di acqua tra due serbatoi posti a quote diverse.
Viene utilizzata energia a basso costo (acquistata nelle ore notturne) per pompare l’acqua al serbatoio superiore grazie all’impiego di turbine reversibili.
Poi, nei periodi di picco della domanda, si produce energia facendo fluire l’acqua verso il basso e azionando delle turbine.
Dal punto di vista economico, questo processo è conveniente solo grazie al fatto che l’energia spesa per pompare l’acqua è stata acquistata sottocosto.
Utilizzando, invece, energia rinnovabile prelevata nei periodi di picco, si può stoccare questa energia a lungo termine.
Ad esempio, con l’elettricità in eccesso prodotta da un impianto fotovoltaico si può pompare acqua da un bacino a un altro a quota più elevata.
Poi, quando quell’energia sarà richiesta, la si potrà riconvertire in elettricità rilasciando l’acqua e facendo così girare le turbine.
Il futuro del pompaggio idroelettrico
Ad oggi, gli investimenti sono concentrati nel settore dell’idrogeno, forse perché l’industria dei combustibili fossili può impiegare per l’idrogeno le stesse infrastrutture che distribuiscono il metano.
Di conseguenza, puntare sull’idrogeno permetterebbe alle grandi compagnie di ammortizzare meglio la transizione energetica.
Sembra proprio che il pompaggio idroelettrico resterà ignorato ancora a lungo e per l’Italia sarà l’ennesima occasione non sfruttata.
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Idrogeno, l’Italia può diventare hub europeo
Il nostro Paese ha tutte le carte in regola per diventare di cruciale importanza per la transizione energetica, che secondo i piani dell’Unione Europea, porterà all’abbandono delle fonti d’energia fossili entro il 2050.
Lo afferma un importante studio realizzato da The European House – Ambrosetti, in collaborazione con Snam, intitolato H2 Italy 2050: una filiera nazionale dell’idrogeno per la crescita e la decarbonizzazione dell’Italia.
Lo studio, presentato qualche giorno fa al forum di Cernobbio 2020, mette in luce le considerevoli prospettive del sistema Italia nella transizione energetica dell’Europa.
Siamo in prima linea
Il nostro Paese può, dunque, assumere un ruolo di primo piano nella realizzazione e il consolidamento della filiera dell’idrogeno in Europa.
Oltre vantare una vastissima e molto efficiente rete di distribuzione del gas su tutto il territorio, l’Italia ha una posizione geografica perfetta, tra Europa e Africa, che favorisce le importazioni.
Sarà possibile importare idrogeno, prodotto in Nord Africa utilizzando l’energia solare, a un costo del 10-15% inferiore rispetto alla produzione nazionale. Questo grazie alla maggiore disponibilità di terreni, l’elevato irraggiamento e la scarsa variabilità stagionale.
L’Italia ha, perciò, la possibilità di diventare il ponte infrastrutturale tra l’Europa e il continente africano, favorendo la diffusione dell’idrogeno anche negli altri Paesi europei.
Inoltre, l’Italia, seconda nazione manifatturiera del Continente, è all’avanguardia nei settori collegati e cruciali:
- primo produttore in Europa nella produzione di tecnologie termiche per l’idrogeno (quota di mercato del 24%)
- secondo produttore in Europa nelle tecnologie meccaniche per l’idrogeno (quota di mercato del 19%)
- secondo produttore in Europa nelle tecnologie per la produzione di idrogeno rinnovabile (quota di mercato del 25%).
Vantaggi e prospettive
Il prezzo dell’idrogeno da rinnovabili continua a scendere. Nell’anno 2000 era 40 volte superiore a quello del petrolio, oggi è stimato che potrà diventare competitivo con alcuni combustibili in soli cinque anni.
Grazie alla sinergia con l’elettrico, l’idrogeno potrà sostituire i combustibili fossili nei settori che contribuiscono in larga parte alle emissioni responsabili del riscaldamento climatico.
Entro il 2050, infatti, potrebbe soddisfare circa un quarto della domanda di energia del Paese, una quota che permetterebbe al Paese di ridurre le emissioni di 97,5 milioni di tonnellate di CO2eq (- 28%).
Pensiamo alle industrie chimiche e siderurgiche e al trasporto pesante su gomma, ma anche al trasporto ferroviario non elettrificato e al settore residenziale, in particolare il riscaldamento. L’introduzione dell’idrogeno rappresenterà una rivoluzione e contribuirà fortemente al raggiungimento degli obbiettivi di decarbonizzazione.
Anche dal punto di vista economico sarà notevole l’impatto sul Pil e sull’occupazione.
Si stima, infatti, un valore aggiunto sul Pil (diretto, indiretto e indotto) tra i 22 e i 37 miliardi di euro al 2050. Contributo che sarà riconducibile anche all’aumento dell’occupazione, con la possibile creazione di nuovi posti di lavoro tra 320.000 e 540.000 al 2050.
Un piano per massimizzare i benefici
Secondo lo studio H2 Italy 2050 per sfruttare al massimo le numerose opportunità offerte dall’idrogeno l’Italia dovrebbe elaborare un piano costituito da sei punti o azioni cruciali:
- elaborare una visione e una strategia di lungo termine;
- creare un ecosistema dell’innovazione e accelerare lo sviluppo di una filiera industriale dedicata attraverso la riconversione dell’industria esistente e l’attrazione di nuovi investimenti;
- supportare la produzione di idrogeno decarbonizzato su scala nazionale;
- promuovere un’ampia diffusione dell’idrogeno nei consumi finali;
- incentivare lo sviluppo di competenze specialistiche sia per le nuove figure professionali sia per accompagnare la transizione di quelle esistenti;
- sensibilizzare l’opinione pubblica e il mondo dell’impresa sui benefici derivanti dall’impiego di questo vettore.
L’Italia ha di fronte un’opportunità con notevoli e molteplici prospettive per il futuro. Ci auguriamo che la nostra classe dirigente sappia guidare il Paese verso un ruolo di primo piano nel fondamentale settore dell’energia.
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