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Occupazione verde: creati 500.000 posti di lavoro nel 2020

L’occupazione verde crea sempre più posti di lavoro dimostrando che la lotta ai cambiamenti climatici può dare un reale impulso all’economia. Le fonti rinnovabili hanno creato lavoro anche durante il 2020, un anno profondamente segnato dalla pandemia in cui abbiamo assistito alla perdita di milioni di impieghi.

Questo è il quadro che restituiscono i dati raccolti nel rapporto prodotto dall’Agenzia Internazionale per le Energie Rinnovabili (IRENA) in collaborazione con l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO): il Renewable Energy and Jobs: Annual Review 2021, alla sua ottava edizione.

Secondo il rapporto, i posti di lavoro nel settore della green energy sono cresciuti di 500.000 unità tra il 2019 e l 2020: da 11,5 milioni a 12 milioni. A guidare le fonti rinnovabili sono stati soprattutto l’eolico e il fotovoltaico con, rispettivamente, 4 milioni e 1,25 milioni di posti di lavoro creati a livello globale. Hanno sofferto maggiormente per il crollo della domanda dovuto alla pandemia, invece, i biocombustibili liquidi e gli altri carburanti per trasporto.

Occupazione verde: Le fonti di energia rinnovabile creano più lavoro delle fossili

Un altro dato interessante riguardo al rapporto tra fonti rinnovabili e lavoro è che gli investimenti nel green creano più occupazione di quanto non facciano nelle fossili. È quanto è emerso da un’analisi di World Resources Institute, International Trade Union Confederation e New Climate Economy. Un investimento di un milione di dollari (circa 850.000 euro) nelle energie rinnovabili, nei trasporti pubblici o nei veicoli elettrici genera più lavoro che nei combustibili fossili, nella costruzione di strade o in veicoli a combustione interna.

Investire nei mezzi pubblici, ad esempio, permette di creare il 40% di posti di lavoro in più rispetto a quelli che genererebbe la costruzione di strade. Inoltre, per ogni due impieghi nel gas e nel petrolio il fotovoltaico ne genera tre, ovvero il 50% in più. Le cifre diventano ancora più consistenti se prendiamo in esame gli investimenti sull’efficienza energetica degli edifici (+ 180%) e quelli finalizzati al ripristino degli ecosistemi (+ 270%).

In un periodo storico in cui in Italia l’occupazione è ancora uno dei problemi principali, dati come questi dovrebbero far riflettere.

Investire sulle fonti rinnovabili significa investire sull’occupazione

Il nostro Paese sta faticosamente provando a rialzarsi dopo un periodo di travolgimenti nella vita sociale ed economica. L’occupazione, già in crisi prima della pandemia, ha subito un forte contraccolpo con milioni di posti di lavoro persi. Oggi, ancora più che in passato, investire nelle energie rinnovabili appare l’unica via per far fronte alle grandi sfide del presente e del futuro.

Nel 2018 erano 19,7 miliardi di euro i fondi che lo Stato destina per i sussidi ambientalmente dannosi (Sad), dei quali la fetta più consistente – 17,7 miliardi – finiscono alle fonti fossili. A questi si aggiungono 8,6 miliardi classificati come incerti che portano il totale oltre i 28 miliardi. Inoltre, nel 2020, secondo Legambiente, sono i Sad sono saliti a 34,6 miliardi di euro.

Confrontando queste cifre con quelle dei sussidi ambientalmente favorevoli (Saf), ovvero 15,3 miliardi di euro, diventa palese l’enorme opportunità che l’Italia sta perdendo. 18,3 miliardi dei Sad potrebbero essere risparmiati già entro il 2025 eliminando:

  • budget per le trivellazioni,
  • fondi per la ricerca sui combustibili fossili
  • agevolazioni fiscali per i veicoli aziendali
  • trattamento fiscale diverso di benzina, gasolio, GPL e metano
  • capacity market per le centrali a gas
  • accesso al superbonus per le caldaie a gas

I fondi così ricavati potrebbero poi essere investiti nelle rinnovabili per favorire l’occupazione verde e contribuire al percorso verso gli obbiettivi climatici, ma anche per formare la futura forza lavoro. Secondo il report di IRENA, infatti, per limitare l’aumento della temperatura media globale a 1,5°C entro il 2050, saranno necessari circa 61 milioni di lavoratori di cui il 13% con un grado di istruzione di alto livello.

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