
L’elettricità da carbone torna a crescere nel 2021
L’energia da carbone non passa mai di moda. Mentre i governi discutono sulle modalità dell’abbandono delle fonti fossili, la produzione di elettricità da carbone ha visto un aumento del 9% nel 2021. Dopo il calo a cui abbiamo assistito nel 2019 e nel 2020 la tendenza si è invertita. Una brutta notizia che potrebbe mettere a rischio il già accidentato percorso di decarbonizzazione con obbiettivo fissato per il 2050.
L’allarme è stato lanciato dall’Agenzia internazionale per l’energia (IEA) nel suo recente rapporto “Coal 2021”. Quest’anno l’elettricità generata da carbone è cresciuta tanto da toccare il massimo storico di 10.350 terawattora (+9%) a causa di un aumento della domanda del 6%.
Le cause del nuovo boom dell’energia da carbone
Il rapporto di IEA individua le ragioni per cui il carbone ha subito questo nuovo boom in:
- la ripartenza dell’economia mondiale seguita al lockdown. I governi allo scopo di rilanciare il più rapidamente possibile le economie dei loro Paesi hanno spinto per incrementare la produzione di energia da fonti fossili.
- l’aumento dei prezzi del gas che ha reso il carbone molto più concorrenziale e ha convinto alcuni Paesi a ridurne le importazioni.
Cina e India guidano la crescita del carbone
Le responsabilità dell’aumento non sono però attribuibili a livello globale ma appartengono soprattutto all’area asiatica. Cina e India, con una popolazione di quasi 3 miliardi di persone, sono tra i maggiori consumatori di energia da carbone rappresentando ben i due terzi della domanda complessiva.
La Cina, in particolare, responsabile di più della metà delle emissioni di CO2 provocate dal carbone del pianeta, nel 2021 ha decisamente accelerato aumentando del 9% l’energia generata da centrali a carbone. Ma questo trend è ancora più forte in India, che ha registrato un +12% nell’anno che sta per terminare, e nell’Unione Europea e negli Stati Uniti, dove l’incremento ha toccato il 20%.
Nel mercato europeo e in quello statunitense l’elettricità da carbone dovrebbe tornare a diminuire nel 2022, a causa della lenta crescita della domanda d’energia e grazie al boom delle fonti rinnovabili, ma nel complesso la situazione è critica. L’obbiettivo di limitare il riscaldamento climatico a +1,5 gradi, confermato nella recente Cop26, appare ora molto meno realistico e raggiungibile.
Se i governi vogliono realmente salvare il pianeta, il carbone deve fare la sua uscita di scena al più presto ma sembra che per molti sia una questione fuori discussione. Secondo le stime della IEA, nel 2022 potremmo superare il picco di domanda del 2013-2014 e rimanere a questi livelli fino al 2024.
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Olio di palma: la maggior parte diventa biocombustibile
È ormai noto quanto le coltivazioni di palme da olio contribuiscano alla deforestazione nelle regioni tropicali.
Soprattutto in Indonesia e Malesia, grandi estensioni di foreste vengono abbattute per far spazio alle palme, con gravissime conseguenze per il clima mondiale, gli ecosistemi e la diffusione di virus d’origine zoologica.
Quello che pochi sanno, però, è che l’olio di palma utilizzato nell’industria alimentare rappresenta solo una percentuale minoritaria. Il 67% delle importazioni europee di olio di palma e il 70% di quelle italiane, infatti, sono destinate alla produzione di biocarburanti e bioenergie.
Dal nuovo dossier di Legambiente emerge che in Italia si è bruciato nel 2019 oltre un milione di tonnellate di olio di palma, oltre a 150 mila tonnellate di olio di semi di girasole, e 80 mila tonnellate di olio di soia.
Legambiente ha poi calcolato i costi che cittadini e imprese devono pagare indirettamente per un prodotto che provoca la distruzione delle foreste tropicali e aumenta la CO2 nell’atmosfera. Si tratta di 16 euro a testa all’anno per carburanti “rinnovabili”, per un totale di circa 300 milioni di euro nel 2019, solo per l’olio di palma.
In aggiunta, paghiamo una piccola quota nella bolletta dell’elettricità per i biocombustibili (69% da olio di palma e di soia), per un totale che si avvicina ai 600 milioni di euro. 900 milioni in tutto.
L’olio vegetale non è una fonte d’energia rinnovabile e non va fatta passare come tale.
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Il Gas Naturale Liquefatto (GNL)
In un recente articolo, abbiamo passato in rassegna tutte le fasi della complessa filiera del gas in Italia e abbiamo accennato anche al gas naturale liquefatto (GNL).
Approfondiamo ora il discorso su questa particolare forma di combustibile.
La filiera del GNL
Il gas naturale, dopo la sua estrazione, può essere sottoposto a uno specifico processo di raffreddamento che lo porta a -160°C e che comporta la sua trasformazione in un liquido, con una notevole riduzione del volume.
In questo stato, esso appare come un fluido incolore e inodore che presenta una densità pari a circa la metà di quella dell’acqua.
Una volta liquefatto, il gas può essere agevolmente stoccato e trasportato su speciali navi metaniere e autocisterne.
In questo modo, il GNL può raggiungere i rigassificatori italiani, anche a migliaia di chilometri, per essere riportato allo stato gassoso. Il gas naturale liquefatto viene scaricato presso un impianto di stoccaggio, qui rigassificato e, quindi, reso disponibile per il consumo tradizionale.
L’importazione del GNL via mare è di fondamentale importanza, perché permette un’ulteriore diversificazione delle fonti di approvvigionamento, rafforzando la sicurezza energetica nazionale.
GNL, combustibile “verde”
Il GNL è una soluzione efficiente ed economica, che oltre ad essere importante nel rifornimento della rete nazionale, ha anche svariate applicazioni alternative.
È in grado, infatti, di sostituire i combustibili fossili tradizionali, riducendo considerevolmente le emissioni di sostanze inquinanti del trasporto marittimo e del trasporto pesante su strada.
Inoltre, è un prodotto che può garantire elevatissimi standard di compatibilità ambientale, grazie a trattamenti che consentono la totale eliminazione di particolato e di SOx e la quasi totale rimozione di NOx.
Per queste ragioni, il gas contribuisce alla sostenibilità del settore dei trasporti e al raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione a livello globale.
I possibili settori di applicazione
Come detto, il gas naturale liquefatto può sostituire i carburanti tradizionali in diversi settori, vediamo i principali:
- TRASPORTI: sostituisce il diesel nei trasporti via terra e l’olio combustibile e il diesel marino per navi nei trasporti via mare
- INDUSTRIA: sostituisce il GPL O.C. e il gasolio per produzione di elettricità e i consumi (in aree non connesse alla rete)
- RISCALDAMENTO: sostituisce il GPL O.C. e il gasolio (per utenza remote e non connesse alla rete)
La UE punta sul GNL
Gli investimenti sullo sviluppo del GNL rientrano nel disegno di politica energetico-ambientale dell’Unione Europea, che ha lo scopo di favorire la transizione verso un low carbon economy.
Per raggiungere questo obbiettivo, infatti, sarà cruciale il ricorso a carburanti puliti e l’utilizzo di fonti rinnovabili, mediante i quali ridurre notevolmente le emissioni inquinanti.
Già a partire dal gennaio 2013, la Commissione Ue ha creato il Pacchetto Clean Power for Transport con una proposta di Direttiva sullo sviluppo di infrastrutture per la diffusione dei carburanti alternativi (tra cui il GNL).
Nel 2016, inoltre, l’ Italia ha recepito la direttiva DAFI, che impone l’obiettivo di realizzare infrastrutture per favorire l’utilizzo dei carburanti alternativi al petrolio, al fine di sviluppare il mercato del GNL, del gas naturale compresso (CNG), dei biofuel e dell’elettricità nel settore dei trasporti.
La sfida di abbandonare petrolio e carbone e invertire la tendenza del clima globale è ardua.
Per vincerla, abbiamo bisogno di far lavorare in sinergia tutte le forme di energia alternativa e il GNL sembra essere una buona opportunità in tal senso.
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