
Economia circolare: il modello economico del futuro
Un mare di rifiuti
I rifiuti fanno parte della nostra vita. Tutto ciò che produciamo e poi consumiamo produce materiali di scarto che costituiranno un problema al momento dello smaltimento.
Solamente nell’Unione europea, ogni anno si producono più di 2,5 miliardi di tonnellate di rifiuti.
Di questa enorme mole di rifiuti, appena il 53,2 % viene trattata in operazioni di recupero (dati UE del 2016): in particolare, sono stati destinati al riciclaggio il 37,8 % del totale dei rifiuti trattati, mentre 9,9% alla colmatazione e il 5,6% al recupero energetico.
Di tutto il restante 46,8 %, il 38,8% finisce in discarica, l’1% è sottoposto a incenerimento senza recupero energetico e l’ultimo 7% viene smaltito in altro modo.
I dati sono molto diversi a seconda degli Stati membri della UE. Alcuni Paesi, come Grecia, Bulgaria, Romania, Finlandia e Svezia, utilizzano ancora largamente le discariche mentre altri, come Italia e Belgio, hanno percentuali molto elevate di riciclaggio.
Il ciclo del consumo
I rifiuti esistono in quanto prodotti diretti del ciclo del consumo che si attua nel nostro sistema economico. Le materie prime vengono estratte, o semplicemente prelevate in natura (petrolio, metalli, legno, minerali, etc…), e quindi trasformate dal sistema industriale in beni o servizi di vario genere: dagli oggetti in plastica ai materiali per l’edilizia, dai mobili ai componenti per apparecchiature elettroniche.
È il modello economico lineare ‘take-make-dispose’, che si basa sull’accessibilità di grandi quantità di risorse ed energia. Un modello sempre meno in linea con realtà del nostro pianeta.
È facile intuire come un sistema che consuma a gran ritmo le risorse del pianeta e stipa in discarica gli scarti di tale processo, nonché i prodotti a fine vita, sia ormai insostenibile a lungo termine.
Proprio per questo motivo è stata elaborata una nuova concezione dell’economia che tenesse conto della necessità di preservare le risorse naturali e l’integrità dell’ambiente, la cosiddetta “economia circolare.”
Economia circolare: il rifiuto è una risorsa
In una economia circolare i rifiuti non esistono. Ogni oggetto o prodotto è progettato a priori con l’intento di rendere possibile il suo reinserimento nel ciclo dei materiali, oltre che il suo smontaggio e riparazione.
L’economia circolare, infatti, è pensata per potersi rigenerare da sola, pianificando il riutilizzo dei materiali in successivi cicli produttivi e, di conseguenza, riducendo al massimo gli sprechi.
I principi cardine dell’economia circolare
Siamo di fronte a un ripensamento globale e radicale del modello produttivo classico, con l’intento di abbandonare la tendenza allo sfruttamento estremo delle risorse naturali con l’unico scopo di massimizzare i profitti.
Adottare un approccio circolare significa riprogettare tutte le fasi della produzione, senza perdere di vista l’intera filiera dei prodotti.
Secondo la Fondazione Ellen Mc Arthur, profondamente impegnata sul fronte del no-profit e grande sostenitrice dell’economia circolare, sono 5 i criteri fondamentali da tenere in considerazione nella creazione del modello circolare:
- Eco progettazione – Progettare i prodotti pensando fin da subito al loro impiego a fine vita, quindi con caratteristiche che ne permetteranno lo smontaggio o la ristrutturazione.
- Modularità e versatilità – priorità alla modularità, versatilità e adattabilità del prodotto affinché il suo uso si possa adattare al cambiamento delle condizioni esterne.
- Energie rinnovabili – Affidarsi ad energie prodotte da fonti rinnovabili favorendo il rapido abbandono del modello energetico fondato sulle fonti fossili.
- Approccio sistemico – Pensare in maniera olistica, avendo attenzione all’intero sistema e considerando le relazioni causa-effetto tra le diverse componenti.
- Materiali di recupero – Favorire la sostituzione delle materie prime vergini con materie prime seconde provenienti da filiere di recupero che ne conservino le qualità.
E i vantaggi per le imprese?
La domanda è d’obbligo, dal momento che sono proprio le imprese a essere in prima linea in questo processo riconfigurazione del modello economico.
Col passaggio a un modello circolare, grazie alla prevenzione dei rifiuti, l’ecodesign e riutilizzo dei materiali, le imprese europee godrebbero di un risparmio netto di ben €600 miliardi. Una cifra pari all’8% del fatturato annuo. Allo stesso tempo si potrebbero abbattere le emissioni totali annue di gas serra del 2-4%.
Inoltre, in aggiunta ai vantaggi economici, la transizione potrebbe garantire:
- Una riduzione della pressione sull’ambiente
- Una maggiore disponibilità di materie prime
- L’aumento della competitività
- Nuovo impulso all’innovazione e alla crescita economica
- Un significativo incremento dell’occupazione, stimato in zona UE, pari a 580.000 nuovi posti di lavoro
Il modello economico circolare si propone come una svolta storica nell’economia europea e mondiale, con la promessa di migliorare ulteriormente il nostro tenore di vita senza, però, come è accaduto in passato, rischiare di prosciugare le inestimabili risorse naturali che abbiamo a disposizione.
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Economia circolare: l’Italia è piena di esempi virtuosi
Il passaggio a un’economia di tipo circolare necessita di investimenti e nuove competenze da parte delle aziende.
Abbiamo recentemente parlato del grande piano di investimenti che sta mettendo in campo l’Unione Europea, il Circular Economy Action Plan, ma ad oggi com’è la situazione nel nostro Paese?
Esistono aziende innovative o start-up che investono su attività ispirate ai principi dell’economia circolare?
La risposta a queste domande è certamente positiva. Nel nostro Paese, infatti, sono attive numerose aziende all’avanguardia che fanno della sostenibilità il loro principio fondante.
In questo articolo vogliamo parlarvi di alcune delle realtà italiane che si distinguono per il successo che hanno ottenuto nei loro rispettivi campi.
Ecoplasteam
Al momento di buttare una confezione di tetrapak abbiamo tutti avuto il dubbio: in quale bidone la butto? Carta, plastica, indifferenziata: qual è la scelta giusta?
Non si tratta di un dubbio banale. Infatti, gli imballaggi in tetrapak sono costituiti da ben tre strati di materiali diversi: cartone, all’esterno, e poi due film di plastica e alluminio.
Inoltre, a seconda del comune in cui ci si trovi le indicazioni su come smaltire tale imballaggio possono essere differenti: in alcuni va nella carta, in altri nella plastica.
Inutile dire che anche nel processo di smaltimento non è chiaro come trattare un rifiuto stratificato come il tetrapak. Questo, infatti, finisce spesso in discarica o in inceneritore.
Il risultato è che, in Italia, ben 1,4 miliardi di contenitori alimentari ogni anno vengono buttati, con tutto lo spreco e l’inquinamento che ne consegue.
A questo problema ha deciso di porre rimedio un’azienda piemontese, la Ecoplasteam. Ad essa appartiene il primo impianto di riciclaggio del tetrapak da cui viene ricavata EcoAllene, una plastica totalmente ri-lavorabile e nuovamente riciclabile.
Prima di questa innovazione, l’unico modo di riciclare almeno parzialmente il tetrapak era affidarlo alle cartiere che ne estraevano la cellulosa dallo strato di cartone.
L’idea rivoluzionaria di Ecoplasteam è stata di lavorare insieme plastica e allumino, in un processo di riciclo meccanico non dissimile da quello della semplice plastica.
Come risultato si ottengono granuli di polietilene e alluminio con caratteristiche identiche al polietilene. Ciò significa che l’EcoAllene può essere utilizzato per produrre oggetti come flaconi per detersivi, confezioni dei cosmetici e per molti tipi di packaging non alimentare.
E-Repair
Tra i rifiuti di più difficile smaltimento ci sono certamente i componenti elettronici. Se riciclare questi rifiuti resta piuttosto complesso, l’approccio più ecosostenibile e immediato al loro trattamento è sicuramente la rigenerazione.
E-Repair, è un’azienda toscana leader del mercato da più di 13 anni e Unico Service partner di Siemens per l’Italia, che rigenera le schede elettroniche industriali.
In questo modo la vita delle schede viene notevolmente allungata, riducendo la quantità di rifiuti che finiscono allo smaltimento.
Inoltre, i tecnici di E-Repair sono in grado di effettuare queste riparazioni e rigenerazioni utilizzando componenti ancora in buono stato recuperati da schede non più funzionanti.
Il tutto in un’ottica di economia circolare e sostenibilità
Aquafil
Questa azienda, con 3000 dipendenti e 16 stabilimenti in tre continenti, è il nono produttore di Nylon al mondo.
La sua peculiarità sta nel fatto che non utilizzi nemmeno una goccia di petrolio per la propria produzione. Aquafil, infatti, si rifornisce di materie prime dalla più grande “miniera di plastica” del pianeta: gli oceani.
Sui fondali marini sono depositate tonnellate di reti da pesca abbandonate che rappresentano un pericolo per la salute dell’ecosistema marino e delle persone.
Ogni anno vengono disperse 600.000 tonnellate di reti, equivalenti al 10% dei rifiuti plastici che infestano gli oceani.
Recuperando queste reti, ma anche tappetti e moquette, Aquafil produce l’Econyl.
Si tratta di filo di poliammide che viene utilizzato per fare moquette e rivestimenti per pavimenti (oltre il 70%), abbigliamento tecnico e sportivo.
Per rigenerare il nylon l’azienda impiega una tecnologia basata sulla depolimerizzazione (riciclo chimico), grazie alla quale è possibile creare una nuova fibra uguale a quella originaria.
Masolini 1949: La linea RE-BORN
Masolini 1949 è una storica azienda a conduzione familiare con un’esperienza di ben quattro generazioni nel settore calzaturiero.
Nel Dopoguerra, quando le materie prime erano difficili da reperire, Valentino Masolini e i suoi figli decisero di riciclare le scarpe e i tessuti delle divise militari, trasformando così dei materiali di scarto in nuove calzature.
Da questa filosofia del riuso è nato il progetto RE-BORN Shoes.
Le scarpe sono fabbricate con materiali provenienti da oggetti difficili da smaltire (vele, pneumatici, ombrelloni, lettini da spiaggia, asciugamani e jeans) che vengono recuperati, disinfettati e poi lavorati manualmente con metodo artigianale.
Tutte le fasi della produzione avvengono in Italia, a Gonars (UD). Il risultato è un prodotto artigianale e di qualità superiore, con un basso impatto sull’ambiente.
Questi esempi virtuosi devono farci ben sperare per il futuro dell’economia circolare nel nostro Paese.
Dimostrano che la passione e la creatività possono dare vita a attività produttive che, non solo rispettano l’ambiente, ma contribuiscono a migliorarlo. Tutto questo, costruendo business solidi e di successo che danno lavoro alle persone e lustro al nostro Paese.
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GREEN NEW DEAL: L’Italia deve ripartire puntando sulla sostenibilità
Risale a gennaio di quest’anno l’annuncio dell’Unione Europea dello stanziamento di 1000 miliardi di euro per realizzare un Green Deal e raggiungere l’obiettivo delle emissioni zero entro il 2050.
Il piano di investimenti si svolgerà nell’arco di 10 anni e impegnerà circa un quarto del bilancio della UE.
Si tratta di una svolta nella lotta ai cambiamenti climatici, che viene a coincidere con uno dei periodi più difficili che l’Europa abbia attraversato dal Dopoguerra ad oggi.
L’epidemia del Covid-19, che minaccia di prolungarsi fino al prossimo anno, sta mettendo a dura prova l’economia di tutti i paesi con migliaia di attività costrette a chiudere e aiuti statali che, in molti casi, si fanno attendere.
Per questi motivi potremmo trovarci di fronte a un’occasione irrinunciabile per rilanciare l’economia italiana investendo sulla sostenibilità ambientale.
Il mondo delle imprese si mobilita
Proprio verso l’obbiettivo di una ripresa verde, è rivolto il manifesto “Uscire dalla pandemia con un nuovo Green Deal per l’Italia”, firmato da 110 esponenti di importanti imprese, enti e associazioni.
Quello proposto, è un approccio basato su un’economia circolare, attraverso cui affrontare le minacce globali, come il riscaldamento climatico e le pandemie, e allo stesso tempo, dare impulso all’economia.
“Servono misure per rendere le nostre società, i nostri sistemi sanitari e la nostra economia più resilienti nei confronti delle pandemie, ma anche per affrontare altre minacce per il nostro futuro . Innanzitutto la grande crisi climatica, alimentata da un modello di economia lineare ad elevato consumo di energia fossile e spreco di risorse naturali”. Si legge nel manifesto.
Valorizzare “le migliori potenzialità dell’Italia: quelle legate alle produzioni di qualità, sempre più green; quelle in cui ha raggiunto livelli di eccellenza, come il riciclo dei rifiuti, pilastro dell’economia circolare, l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili di energia; quelle del nostro modello di agricoltura sostenibile e delle altre attività della bioeconomia rigenerativa; quelle delle città, da rilanciare con un vasto programma di rigenerazione urbana in chiave green; quelle dell’importante capitale naturale, necessario per il rilancio di diverse attività economiche come il turismo; quelle della transizione a basse emissioni e con carburanti alternativi verso la mobilità decarbonizzata, elettrica e condivisa e quelle dell’innovazione digitale”.
Il messaggio è chiaro. Le imprese italiane, quelle che sostengono il Paese intero, sono pronte al cambiamento e ad abbracciare nuove filosofie produttive. Il Paese è pronto a lasciarsi alle spalle il passato e progredire.
Questo documento verrà invitato al Parlamento, al Governo e, naturalmente, alle istituzioni europee, con l’auspicio che gli stanziamenti previsti siano utilizzati in modo efficace.
Il futuro è a portata di mano
Quella del Green New Deal una sfida che nei prossimi dieci anni ci porterà a cambiare il nostro modo di consumare, di costruire e di alimentarci.
Gli ambiti in cui sarà necessario intervenire sono svariati: la mobilità e mezzi di trasporto, la produzione dell’energia, l’efficienza energetica degli edifici, le crisi industriali che minacceranno i posti di lavoro, l’agricoltura, etc…
Sta iniziando una fase complessa della nostra storia, che, però, porta con sé la promessa di catapultarci in una nuova era di progresso.
L’epidemia ci sta mettendo a dura prova, ma la crisi che si preannuncia potrebbe trasformarsi in una rivoluzione.
Non resta che chiedersi: Saremo all’altezza della sfida?
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