
Impronta ecologica: come si calcola e come ridurla
Nel dibattito sull’impatto ambientale delle attività umane sulla Terra, avreste certamente sentito parlare di impronta ecologica.
Malgrado l’apparenza, non si tratta di un concetto positivo o “eco”, ma di un indice utile a valutare quanto profondo sia il nostro impatto sull’ambiente.
È noto che tutte le attività economiche dell’umanità incidono, alcune più di altre, sull’integrità della natura e delle risorse che essa ci ha messo a disposizione.
Quando si parla di risorse, è comune pensare prima di tutto alle fonti di energia (petrolio, carbone, gas) e alle materie prime (ad esempio, metalli e minerali) ma esse non si limitano a queste. Il sostentamento dell’umanità dipende, infatti, in larga parte dalla disponibilità di acqua potabile e terra coltivabile.
Noi tendiamo a vedere le risorse naturali come illimitate ma questa non è altro che un’illusione. Se ci appaiono così è dovuto al fatto che la natura ha la straordinaria capacità di rigenerarsi sostituendo le risorse consumate.
Cosa succede, però, quando la nostra voracità nel consumare risorse naturali supera la capacità di rigenerazione del pianeta? È ovvio, il pianeta si impoverisce.
L’impronta ecologica ha lo scopo di aiutarci a monitorare il ritmo a cui consumiamo risorse e darci la possibilità di rimediare.
La cosa interessante è che è possibile calcolare l’impronta ecologica dell’intera umanità, ma anche di territori circoscritti e, persino, di noi come individui.
La definizione moderna di impronta ecologica
Ad oggi la definizione di impronta ecologica è:
“l’area totale di ecosistemi terrestri e acquatici richiesta per produrre le risorse che la popolazione di una comunità consuma e assimilare i rifiuti che la popolazione stessa produce”
In sostanza, è un indice statistico che mette a confronto il consumo di risorse naturali di un territorio con la capacità del pianeta di rigenerarle. E quindi stima l’estensione dell’area biologicamente produttiva necessaria a rigenerare quelle risorse e a neutralizzarne i rifiuti.
Pertanto, grazie all’indice di impronta ecologica possiamo confrontare il nostro impatto ambientale personale con le risorse pro capite disponibili e capire se il nostro stile di vita è sostenibile o meno.
Calcolare l’impronta ecologica
La formula creata per calcolare questo indice mette in relazione la quantità di ogni risorsa consumata con la costante di rendimento – che si misura in chilogrammi per ettaro (kg/ha).
Il risultato di questo calcolo sarà una superficie espressa in ettari globali, unità di misura dell’impronta ecologica.
Niente paura, non è necessario essere laureati in matematica per calcolare la propria, o del proprio territorio. WWF, infatti, ha messo a disposizione sul suo sito web un calcolatore basato su una serie di domande a cui rispondere con un click.
Ridurre il nostro impatto
Ognuno di noi deve fare del proprio meglio per ridurre l’impatto ambientale delle proprie abitudini. Le scelte che facciamo ogni giorno possono davvero incidere sulla nostra impronta ecologica. Ecco alcuni consigli pratici:
- Risparmiare acqua. Noi italiani siamo tra i più grandi consumatori d’acqua al mondo e primi in Europa. Parliamo di un consumo pro capite di circa 220 litro d’acqua al giorno, in media (esistono però grandi differenze di consumi a livello territoriale). La maggior parte di quest’acqua potabile – il 39% circa – viene utilizzata in docce e bagni, per il lavaggio delle stoviglie e dei vestiti, per pulizie domestiche e per l’irrigazione. I modi per ridurre il consumo d’acqua sono semplici ma efficaci: preferire la doccia al bagno, usare la lavastoviglie e installare regolatori di flusso.
- Bere l’acqua del rubinetto. Evitare l’acqua in bottiglia riduce fortemente la quantità di plastica prodotta e l’emissione di CO2 dovuta al trasporto. L’acqua del rubinetto ha, infatti, un’impronta ecologica 200 volte inferiore rispetto a quella in bottiglia. Se ci tieni all’ambiente ma non hai a disposizione acqua di buona qualità, prova i depuratori o le semplici caraffe filtranti.
- Mangiare meno carne. Per produrre un chilogrammo di carne sono necessari da 10 a 15 chilogrammi di cereali – che a loro volta necessitano di molta acqua per crescere. Inoltre, gli stessi allevamenti inquinano e consumano molte risorse idriche. Non è necessario diventare vegetariani, anche ridurre il consumo di carne può fare la differenza.
- Scegliere prodotti a Km 0. Questa scelta non riduce solo le emissioni generate dal trasporto dei prodotti ma anche quelle dovute all’energia consumata per il surgelamento. Il cibo surgelato comporta un consumo dieci volte più grande di quello fresco.
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A presto!

Cresce l’impatto ambientale dello streaming: ecco come limitarlo
Lo streaming di contenuti audio e video è sempre più popolare e il suo impatto ambientale è diventato ormai un tema molto attuale e controverso.
Il 2020 è stato l’anno dell’esplosione della fruizione di video in streaming: a causa del lockdown gli utenti della rete si sono rivolti con maggiore frequenza a questo tipo di intrattenimento.
I dati sono chiari e mostrano una crescita esponenziale del volume traffico, soprattutto su alcune piattaforme molto popolari.
Durante la pandemia di Covid, il traffico globale di Internet è cresciuto del 40% circa (dati Sandvine) e la categoria che più ha contribuito a questo aumento è proprio lo streaming video. Basti pensare che a livello globale ogni giorno vengono visualizzate circa 1 miliardo di ore di video su YouTube e 140 milioni di ore su Netflix.
Nei mesi di lockdown i video hanno costituito il 58% del traffico complessivo del web. Un volume così elevato che l’Unione Europea ha dovuto chiedere alle principali piattaforme di ridurre i bit-rate dei video trasmessi in streaming in Europa, così da evitare di sovraccaricare i server e garantire la sostenibilità di servizi necessari allo smart working e alla didattica a distanza.
L’impatto ambientale dello streaming: elettricità ed emissioni di CO2
Un recente studio sull’impatto ambientale dello streaming, realizzato dagli istituti di ricerca della Purdie University, della Yale University e del Massachussets Institute of Technology, ha rilevato che:
- 1 ora di videoconferenza causa l’emissione di 150 grammi di anidride carbonica
- un video in streaming di 60 minuti genera circa 450 grammi
Se confrontate con quelle le emissioni delle automobili, ad esempio, (un litro di benzina genera 3200g di CO2) queste cifre appaiono trascurabili, ma in periodi di saturazione diventano rilevanti.
Inoltre, lo streaming ha un impatto ambientale anche in quanto a consumo di acqua: un’ora di videoconferenza può costare 2 litri d’acqua , mentre una di streaming fino 12 litri.
A questo studio si è prontamente opposta Netflix con i dati calcolati con uno strumento chiamato Dimpact. Si tratta di un progetto finanziato proprio da Netflix e da altre grandi aziende (come BBC e Sky) e sviluppato dai ricercatori dell’Università di Bristol.
Le cifre ricavate sono decisamente più contenute: un’ora di video in streaming su Netflix equivarrebbe a “solo” 100 g di CO2, la stessa quantità che emetterebbe un’auto percorrendo circa 500 metri o un condizionatore d’aria da 1.000W in 40 minuti di funzionamento.
Ad ogni modo, anche se i calcoli di Dimpact fossero quelli più corretti, l’impatto ambientale di Netflix resterebbe enorme a causa dei suoi 200 milioni di utenti.
Ridurre l’impatto dello streaming si può: facciamo la nostra parte
Le grandi aziende del tech si stanno muovendo per migliorare la propria sostenibilità ambientale. Google punta entro il 2030 a utilizzare il 100% di energia carbon free per alimentare i suoi data center. Obbiettivi simili si sono poste anche Microsoft, Netflix ed Apple.
Ma noi cittadini possiamo agire in qualche modo?
La risposta è certamente sì. Ognuno di noi può ridurre attivamente il proprio impatto nell’utilizzo dei servizi di streaming.
Ecco 3 consigli pratici:
- DISATTIVARE L’AUTOPLAY. Questa funzione crea una sequenza di video suggeriti dall’algoritmo della piattaforma, i quali sono spesso indesiderati. In questo modo, si consuma molta più energia.
- RIDURRE LA RISOLUZIONE DEI VIDEO. Impostare una risoluzione standard anziché una in alta definizione (HD), è una scelta sostenibile e permette di ridurre l’impatto ambientale fino all’86%. Questo perché una definizione più alta significa un volume di dati maggiore da trasmettere e quindi un consumo maggiore di energia elettrica.
- SCARICARE I VIDEO (download) in fasce orarie in cui il traffico web è ridotto per guardarli in un secondo momento senza l’impiego della connessione internet (offline).
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