
Idrogeno, l’Italia può diventare hub europeo
Il nostro Paese ha tutte le carte in regola per diventare di cruciale importanza per la transizione energetica, che secondo i piani dell’Unione Europea, porterà all’abbandono delle fonti d’energia fossili entro il 2050.
Lo afferma un importante studio realizzato da The European House – Ambrosetti, in collaborazione con Snam, intitolato H2 Italy 2050: una filiera nazionale dell’idrogeno per la crescita e la decarbonizzazione dell’Italia.
Lo studio, presentato qualche giorno fa al forum di Cernobbio 2020, mette in luce le considerevoli prospettive del sistema Italia nella transizione energetica dell’Europa.
Siamo in prima linea
Il nostro Paese può, dunque, assumere un ruolo di primo piano nella realizzazione e il consolidamento della filiera dell’idrogeno in Europa.
Oltre vantare una vastissima e molto efficiente rete di distribuzione del gas su tutto il territorio, l’Italia ha una posizione geografica perfetta, tra Europa e Africa, che favorisce le importazioni.
Sarà possibile importare idrogeno, prodotto in Nord Africa utilizzando l’energia solare, a un costo del 10-15% inferiore rispetto alla produzione nazionale. Questo grazie alla maggiore disponibilità di terreni, l’elevato irraggiamento e la scarsa variabilità stagionale.
L’Italia ha, perciò, la possibilità di diventare il ponte infrastrutturale tra l’Europa e il continente africano, favorendo la diffusione dell’idrogeno anche negli altri Paesi europei.
Inoltre, l’Italia, seconda nazione manifatturiera del Continente, è all’avanguardia nei settori collegati e cruciali:
- primo produttore in Europa nella produzione di tecnologie termiche per l’idrogeno (quota di mercato del 24%)
- secondo produttore in Europa nelle tecnologie meccaniche per l’idrogeno (quota di mercato del 19%)
- secondo produttore in Europa nelle tecnologie per la produzione di idrogeno rinnovabile (quota di mercato del 25%).
Vantaggi e prospettive
Il prezzo dell’idrogeno da rinnovabili continua a scendere. Nell’anno 2000 era 40 volte superiore a quello del petrolio, oggi è stimato che potrà diventare competitivo con alcuni combustibili in soli cinque anni.
Grazie alla sinergia con l’elettrico, l’idrogeno potrà sostituire i combustibili fossili nei settori che contribuiscono in larga parte alle emissioni responsabili del riscaldamento climatico.
Entro il 2050, infatti, potrebbe soddisfare circa un quarto della domanda di energia del Paese, una quota che permetterebbe al Paese di ridurre le emissioni di 97,5 milioni di tonnellate di CO2eq (- 28%).
Pensiamo alle industrie chimiche e siderurgiche e al trasporto pesante su gomma, ma anche al trasporto ferroviario non elettrificato e al settore residenziale, in particolare il riscaldamento. L’introduzione dell’idrogeno rappresenterà una rivoluzione e contribuirà fortemente al raggiungimento degli obbiettivi di decarbonizzazione.
Anche dal punto di vista economico sarà notevole l’impatto sul Pil e sull’occupazione.
Si stima, infatti, un valore aggiunto sul Pil (diretto, indiretto e indotto) tra i 22 e i 37 miliardi di euro al 2050. Contributo che sarà riconducibile anche all’aumento dell’occupazione, con la possibile creazione di nuovi posti di lavoro tra 320.000 e 540.000 al 2050.
Un piano per massimizzare i benefici
Secondo lo studio H2 Italy 2050 per sfruttare al massimo le numerose opportunità offerte dall’idrogeno l’Italia dovrebbe elaborare un piano costituito da sei punti o azioni cruciali:
- elaborare una visione e una strategia di lungo termine;
- creare un ecosistema dell’innovazione e accelerare lo sviluppo di una filiera industriale dedicata attraverso la riconversione dell’industria esistente e l’attrazione di nuovi investimenti;
- supportare la produzione di idrogeno decarbonizzato su scala nazionale;
- promuovere un’ampia diffusione dell’idrogeno nei consumi finali;
- incentivare lo sviluppo di competenze specialistiche sia per le nuove figure professionali sia per accompagnare la transizione di quelle esistenti;
- sensibilizzare l’opinione pubblica e il mondo dell’impresa sui benefici derivanti dall’impiego di questo vettore.
L’Italia ha di fronte un’opportunità con notevoli e molteplici prospettive per il futuro. Ci auguriamo che la nostra classe dirigente sappia guidare il Paese verso un ruolo di primo piano nel fondamentale settore dell’energia.
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La filiera del gas: Dall’estrazione al nostro contatore
La filiera del gas naturale si compone di tutte le attività grazie alle quali questa preziosa risorsa viene portata dai giacimenti alle nostre case. Essa si svolge in più fasi successive, vediamole una alla volta.
L’approvvigionamento di materia prima
Questa fase della filiera è composta dalla produzione, vale a dire l’estrazione sul territorio nazionale, e dall’importazione dall’estero.
Il nostro Paese, infatti, produce solamente il 10% del proprio fabbisogno nazionale, il restante 90% viene dall’estero via gasdotto e, in piccola parte, via nave. Ciò è reso possibile da una rete di gasdotti internazionali che collega l’Italia con i maggiori produttori di gas, tra cui Libia, Algeria e Russia.
La frazione di gas che viene importato via nave, invece, è costituita da gas naturale liquefatto (GNL) che viene reso liquido con un processo chimico e rigassificato in un secondo momento per essere immesso in rete.
Il trasporto
Il trasporto di gas naturale è affidato a Snam Rete Gas, azienda che possiede il 94% della Rete di Trasporto.
La Rete di Trasporto si compone di una rete nazionale di circa 8.800 km e di una rete regionale che si estende per oltre 22.600 km.
La prima collega i punti di ingresso nazionali, ovvero i luoghi di produzione e di importazione, alla rete di trasporto regionale che conduce il gas dalla rete nazionale ai punti di consegna, ovvero i centri di consumo.
Lo stoccaggio e il dispacciamento
Durante il periodo invernale, a causa dei riscaldamenti delle case, la domanda di gas cresce in maniera considerevole e, talvolta, in maniera imprevedibile. Per questo motivo si rende necessaria l’attività di stoccaggio di scorte di gas naturale, al fine di gestire al meglio i picchi di domanda sul mercato.
Il dispacciamento, invece, riguarda l’organizzazione della rete e ha lo scopo di garantire l’equilibrio tra domanda e offerta e che la fornitura di gas sia assicurata a tutti i consumatori.
La vendita all’ingrosso
La figura che si incarica di vendere il gas all’ingrosso è lo shipper.
Questi operatori acquistano il gas da importatori o da produttori nazionali e lo rivendono a società di vendita al dettaglio, o direttamente, a clienti finali come industrie e centrali termoelettriche.
Si tratta di una delle fasi della filiera che contano il maggior numero di operatori, come conseguenza dalla liberalizzazione del mercato dell’energia.
La distribuzione
La distribuzione è un’attività di servizio pubblico, con la quale avviene la consegna del gas naturale ai clienti finali attraverso i gasdotti locali a bassa pressione.
Questa attività è gestita da 700 distributori che ricevono la concessione partecipando a una gara pubblica e regolata da un contratto di servizio.
La vendita al dettaglio. La fase finale
Questa attività consiste nell’acquisto il gas naturale presso i grossisti per poi rivenderlo ai clienti finali ed è gestita dalle società di vendita (trader).
La liberalizzazione del mercato del gas
Fino al 2002 la filiera del gas è stata caratterizzata dal monopolio di Eni che era l’unico operatore in tutte le fasi della filiera, ad eccezione di quella della distribuzione.
Dal 1° gennaio 2003, però, con la liberalizzazione del mercato, i clienti domestici hanno facoltà di scegliere liberamente da quale società di vendita e a quali condizioni comprare il gas.
Un’ottima notizia per tutti, perché oggi è possibile confrontare le diverse offerte sul mercato e scegliere secondo le proprie esigenze.
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