
Economia circolare, secondo pacchetto UE per prodotti sostenibili
L’economia circolare è uno dei principali piani d’azione dell’Unione Europea, con il nuovo pacchetto di norme “Economia Circolare 2022” il focus si sposta decisamente sulla sostenibilità dei prodotti. Tutta le merci che vengono vendute nei Paesi dell’Unione Europea dovranno essere durevoli, aggiornabili e riparabili con facilità, con il risultato di ridurre drasticamente i rifiuti e la spesa delle famiglie.
Ecco il cardine principale del nuovo pacchetto UE presentato qualche giorno fa dalla Commissione Europea, a cui si aggiunge anche la necessità di limitare la dipendenza energetica della Comunità proteggendola così dalle crisi come quella a cui stiamo assistendo.
Realizzare prodotti sostenibili significa, prima di ogni altra cosa, porre l’attenzione sulla progettazione. Il design deve seguire principi di etica e sostenibilità condivisi da tutta la comunità. Troppi degli oggetti in vendita in Europa sono difficilmente riparabili e realizzati con materiali di bassa qualità, se non dichiaratamente usa e getta. Lampade di cui non è possibile sostituire i led esausti, elettrodomestici dai pezzi di ricambio introvabili – o così costosi da rendere poco conveniente la riparazione – e articoli scadenti che diventano rifiuti in men che non si dica: ecco le storture alle quali il nuovo pacchetto UE vuole porre rimedio.
Le proposte riguardano, in particolare:
- la progettazione ecocompatibile dei prodotti sostenibili (ecodesign)
- la sostenibilità e la circolarità dei prodotti tessili
- l’etichettatura energetica
Progettare prodotti sostenibili
Nel 2019 nell’Unione Europea si sono prodotte quasi 225 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, che corrispondono a 502 kg a persona (dati Eurostat). E il volume è sempre in aumento: rispetto al 2018, infatti, abbiamo prodotto 7 kg di immondizia in più a testa (495 kg).
Come abbiamo detto, l’ecodesign è cruciale per realizzare un’economia circolare davvero funzionante. L’impatto dei rifiuti causati dall’usa e getta, ma anche dall’impossibilità di riparare dispositivi elettronici ed elettrodomestici, è enorme. La responsabilità, quindi, non è da addossare completamente ai cittadini: esiste un problema di sistema, collegato al modello economico neoliberista che incentiva il consumo rapido di beni e servizi.
Per queste ragioni, la Commissione Europea con il pacchetto “Economia Circolare 2022” vuole integrare ed estendere le norme già esistenti sulla ecocompatibilità dei beni fisici immessi sul mercato o messi in servizio nella UE.
Le prime categorie a essere regolamentate dovrebbero essere:
- Tessili
- Mobili
- Materassi
- Pneumatici
- Detersivi
- Vernici
- Lubrificanti
- Alcuni prodotti intermedi, ad esempio metalli come alluminio, acciaio e ferro
In questa fase iniziale saranno esclusi i settori degli alimentari, dei mangimi e dei medicinali, ma l’intento è di regolamentare anche questi.
I provvedimenti del pacchetto “Economia Circolare 2022”
Prima di tutto, saranno definiti specifici requisiti di sostenibilità e di informazione che avranno lo scopo di informare i consumatori riguardo all’impatto ambientale dei prodotti. Un provvedimento che permette ai cittadini di orientare le proprie scelte in modo responsabile e consapevole, secondo i valori di sostenibilità ambientale oramai condivisi dalla maggioranza della popolazione.
Inoltre, a tutti i prodotti sarà assegnato un passaporto digitale: uno strumento informativo per semplificare la riparazione e il riciclo e facilitare il monitoraggio delle sostanze problematiche in tutta la catena di approvvigionamento. Si ipotizza anche di introdurre una scala di “classi di prestazione”, come quella utilizzata per l’efficienza energetica, in modo che il confronto tra le caratteristiche dei prodotti sia immediato.
Migliorare la sostenibilità dei prodotti tessili
I prodotti tessili hanno un grande impatto ambientale per varie ragioni, tra cui l’inquinamento generato nella produzione, il consumo d’acqua necessario alle piantagioni di cotone e la dispersione di microplastiche durante il lavaggio.
Per questi motivi, stabilire standard di durabilità ed ecocompatibilità dei prodotti tessili è una delle priorità del pacchetto UE: i tessuti dovranno essere duraturi, riciclabili, prodotti con fibre riciclate e senza l’impiego di sostanze nocive, oltre che nel rispetto dei diritti dei lavoratori.
I provvedimenti del pacchetto “Economia Circolare 2022”
Tra gli interventi del pacchetto “Economia Circolare 2022” troviamo:
- requisiti di design ecocompatibile
- informazioni trasparenti
- passaporto digitale
- regime obbligatorio di responsabilità estesa del produttore
- contrasto del rilascio involontario di microplastiche
- controllo della veridicità delle dichiarazioni ecologiche
- promozione di modelli di business circolari

Approvato recepimento direttive UE su rinnovabili e mercato dell’energia
Il Consiglio dei Ministri ha approvato gli ultimi due decreti attuativi riguardanti due importanti direttive UE: la Red II, sulle rinnovabili (2018/2001) e la direttiva sul mercato interno dell’energia elettrica (2019/904).
Una buona notizia, si direbbe. Peccato che l’approvazione dei decreti di recepimento arrivi in ampio ritardo rispetto alla scadenza fissata dall’Unione Europea.
Le direttive UE in questione, infatti, fanno parte del pacchetto del 2016 e dovevano essere inserite nel diritto nazionale entro il 30 giugno 2021. A causa di questo ritardo, l’Italia si è guadagnata una lettera di messa in mora da parte della Commissione europea.
Tuttavia, l’attuazione del direttive resta molto importante per il loro potenziale impatto sulla transizione ecologica del nostro Paese.
Vediamo nel dettaglio di che cosa si tratta.
Il decreto di recepimento della RED II
La Renewable Energy Directive 2018/2001, la direttiva europea meglio conosciuta come RED II, è incentrata sulle energie rinnovabili.
La RED II stabilisce che il contributo delle energie rinnovabili sul consumo finale lordo di energia in Europa dovrà toccare il 32%.
All’Italia nello specifico è richiesto un contributo all’obbiettivo comunitario di almeno il 30%. Un obbiettivo non facile da centrare per il nostro Paese che arriva appena al 18%, mentre la UE nel complesso ha toccato il 19,7% nel 2019.
L’intento della RED II è perciò accelerare la transizione energetica del continente con il progressivo abbandono dei combustibili fossili in favore delle energie rinnovabili.
Il tempo stringe per l’Italia. Gli obbiettivi della RED II, infatti, sono già stati integrati dal “Fit for 55” qualche settimana fa.
Il nuovo pacchetto presentato dalla Commissione Ue, supera i precedenti e stabilisce un taglio delle emissioni di CO2 del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990.
Si prospetta l’emanazione di una direttiva RED III che avrà l’obiettivo di portare la produzione di energia da fonti rinnovabili al 40% entro il 2030.
La strada per l’Italia è estremamente in salita: in quanto a emissioni siamo fermi a -19,4%.
Nel decreto attuativo della RED II troviamo la volontà di concentrarsi sulla semplificazione degli iter autorizzativi:
«L’approccio per le autorizzazioni è quello della semplificazione e di una partecipazione positiva degli enti preposti al rilascio delle autorizzazioni tramite un percorso condiviso di individuazione di aree idonee.
Per gli incentivi, la scelta è quella di introdurre una forte semplificazione nell’accesso ai meccanismi e, al contempo, fornire una maggiore stabilità tramite l’introduzione di una programmazione quinquennale, al fine di favorire gli investimenti nel settore.» si legge nella sintesi del Consiglio dei Ministri.
Inoltre, è «Centrale la realizzazione delle infrastrutture necessarie per la gestione delle produzioni degli impianti a fonti rinnovabili: prevista un’accelerazione nello sviluppo della rete elettrica e della rete gas e semplificazioni per la realizzazione degli elettrolizzatori alimentati da fonti rinnovabili.»
Il decreto sul mercato interno dell’energia elettrica
Il decreto che recepisce la direttiva UE 2019/944, come si legge nella sintesi dei contenuti del Consigli dei Ministri del 5 agosto, contiene:
«[…]disposizioni volte a disciplinare le nuove configurazioni delle comunità energetiche dei cittadini in modo coordinato con le disposizioni previste dalla direttiva 2001/2018 in materia di comunità energetiche rinnovabili, a rafforzare i diritti dei clienti finali in termini di trasparenza (delle offerte, dei contratti e delle bollette), a completare la liberalizzazione dei mercati al dettaglio salvaguardando i clienti più vulnerabili, ad aprire maggiormente il mercato dei servizi a nuove tipologie di soggetti quali la gestione della domanda e i sistemi di accumulo, a prevedere un ruolo più attivo dei gestori di sistemi di distribuzione, a regolare la possibilità di istituire sistemi di distribuzione chiusi, ad aggiornare gli obblighi di servizio pubblico per le imprese operanti nel settore della generazione e della fornitura di energia elettrica, ad introdurre un sistema di approvvigionamento a lungo termine di capacità di accumulo con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo degli investimenti necessari per l’attuazione degli obiettivi del PNIEC.»
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Fit for 55, nuovo pacchetto legislativo UE contro il riscaldamento globale
Continua l’impegno dell’Unione Europea contro il riscaldamento globale: il nuovo passo verso un continente a impatto ambientale zero è il pacchetto “Fit for 55”, approvato qualche giorno fa.
Il pacchetto contiene una serie di proposte direttive, regolamenti e iniziative che hanno l’intento di coinvolgere tutti i settori dell’economia affinché contribuiscano agli obbiettivi stabiliti dalla legge europea sul clima.
Vale la pena di ricordarli:
- Riduzione del 55% delle emissioni di gas serra dell’Unione Europea entro il 2030
- Raggiungimento delle “zero emissioni nette”, la cosiddetta neutralità climatica, entro il 2050
Si tratta di obbiettivi ambiziosi ma pienamente realizzabili e, soprattutto, assolutamente necessari e non prorogabili ulteriormente.
La Commissione Europea ha messo in conto che nell’Unione gli investimenti complessivi che dovranno essere fatti entro l’anno 2030 supereranno i 3.500 miliardi di euro, dei quali più 600 miliardi interesseranno l’Italia.
Appare subito chiaro che si tratti di un piano senza precedenti che forzerà il nostro Paese, come tutti i Paesi UE, ad abbandonare il dibattito ormai sterile sugli obiettivi e dedicarsi all’attuazione di soluzioni concrete.
Tutto ciò senza mettere a rischio la stabilità del sistema economico di ciascun Paese e quello delle imprese e sfruttando le potenzialità di occupazione e sviluppo portate dalla green economy.
Vediamo ora nel dettaglio gli interventi che prevede il nuovo pacchetto legislativo Fit for 55 nei vari ambiti.
Infine, riporteremo i giudizi poco entusiastici delle associazioni ambientaliste su questo pacchetto di interventi, considerato dalla UE decisivo per la transizione ecologica e la lotta al cambiamento climatico.
Il pacchetto legislativo Fit for 55 in cifre
Fit for 55 interviene su un ampio ventaglio di settori. Prima di tutto, vi troviamo una stretta sulle emissioni di CO2 per i settori dell’industria e dell’energia coperti dal mercato UE delle emissioni di carbonio, o ETS.
La riduzione richiesta sale dal 41% al 61% entro il 2030 rispetto al 2005. Inoltre, i permessi di emissione gratuiti, concessi all’aviazione e agli operatori marittimi, saranno eliminati.
Infine, il regime ETS sarà applicato anche ai trasporti, sia su strada che via mare.
Anche i target nazionali di riduzione delle emissioni saranno incrementati. Gli obbiettivi per i settori dell’agricoltura, dei trasporti e degli immobili saliranno da 29% a 40% (da 33% a 43,7% per l’Italia).
L’impegno sulle emissioni degli stati membri non finisce qui: tutti gli stati condivideranno la responsabilità della cattura della CO2 dall’atmosfera. In questo caso l’obbiettivo è a livello UE e consiste in una riduzione di 310 milioni di tonnellate di anidride carbonica entro il 2030.
Dal 2026, poi, entrerà in vigore una carbon tax. Attraverso il meccanismo di aggiustamento del carbonio alla frontiera (CBAM) sarà applicato il prezzo del carbonio del mercato UE alle importazioni di ferro, acciaio, alluminio, cemento, elettricità e fertilizzanti.
Nell’intento di compensare le emissioni, il pacchetto prevede anche il rimboschimento del territorio dell’Unione con la piantumazione di 3 miliardi di alberi entro il 2030.
Ancora nel settore dei trasporti, è stato inserito il divieto di vendita delle automobili a benzina e a diesel al 2035, con l’intento di sostituire gradualmente tutti i mezzi privati inquinanti con modelli elettrici.
Per favorire questa transizione, nel pacchetto è stata inserita anche installazione di colonnine di ricarica, ogni 60 km per l’elettrico e ogni 150 km per l’idrogeno entro il 2025, che fungano da infrastruttura di supporto.
Per quanto riguarda i trasporti aerei, la Commissione è intervenuta sui carburanti: i jet dovranno impiegare un blend di carburanti sostenibili fino al 63% (entro il 2050). Mentre per le navi che fanno scalo nei porti europei, è previsto un tetto massimo per i gas serra contenuti nei carburanti.
È stato previsto, inoltre, un fondo per il clima finanziato dai proventi del mercato del carbonio. Parliamo di 70 miliardi di euro in 7 anni che potrebbero essere reinvestiti dalla UE per finanziare al 50% incentivi all’acquisto di veicoli ecologici e la riqualificazione energetica degli edifici.
E restando nel settore dell’edilizia, spunta anche l’obbligo per il settore pubblico di riqualificare almeno il 3% dei propri edifici ogni anno.
Infine, nell’ambito del fisco, la tassazione si baserà sul contenuto energetico dei combustibili e non più sui volumi. In questo modo, l’energia elettrica si troverà favorita sui combustibili fossili: la tassazione minima sulla benzina salirebbe, infatti, da 0,359 € al litro a 0,385 € al litro, mentre quella sul gasolio da 0,330 € al litro a 0,419 € al litro. Al contrario la tassazione minima sull’elettricità calerebbe da 1 €/MWh a 0,59 €/MWh.
Per gli ambientalisti il Fit for 55 non è sufficiente
Le più importanti associazioni ambientaliste, da Greenpeace UE a Legambiente a WWF Italia, hanno subito bollato il pacchetto Fit for 55 come insufficiente per raggiungere gli obbiettivi minimi richiesti dalla crisi climatica.
Mancano, affermano, provvedimenti radicali. Secondo Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, la riduzione delle emissioni del 55% non è abbastanza a contenere l’aumento delle temperature medie ai 1,5 gradi centigradi previsti dall’accordo di Parigi. L’Europa deve alzare l’asticella fino al 65% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990.
Il direttore di Greenpeace UE Jorgo Riss, invece, ha sottolineato che provvedimenti come il divieto di vendere automobili a benzina e diesel dal 2035, non sono abbastanza incisivi perché entreranno in vigore troppo tardi.
La sensazione è che la Commissione abbia fatto un passo importante nella direzione giusta ma che il pacchetto Fit for 55 non rappresenti la soluzione definitiva alle sfide che impone il cambiamento climatico.
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Rinnovabili: l’Italia non tiene il passo dell’Europa
Le energie rinnovabili hanno continuato a crescere anche nel 2020, nonostante il lockdown dovuto alla pandemia. Questo, però, è un dato a livello globale che non rispecchia la situazione italiana.
Mentre in Europa la potenza installata superava i 650 GW, soprattutto grazie a fotovoltaico ed eolico, in Italia nel 2020 le nuove installazioni sono diminuite.
Il calo era già cominciato nel 2018 e lo scorso anno si è confermato.
Secondo i dati raccolti nel settimo rapporto dell’Energy & Strategy Group della School of management del Politecnico di Milano, le installazioni di impianti d’energia rinnovabile sono calati del 34,5% nel nostro Paese: 427 MW in meno rispetto al 2019.
A contribuire a questo crollo è stato soprattutto l’eolico che ha toccato un preoccupante -79% di installazioni, scese dai 413 MW del 2019 agli 85 MW del 2020.
A guidare la classifica delle installazioni nel 2020 è stato il fotovoltaico con 625 MW. Per quanto riguarda idroelettrico e biomasse, si sono fermati rispettivamente a 66 MW e 8 MW.
Insomma, sulle rinnovabili l’Italia è bloccata dal 2018.
Le ragioni del ritardo
Per una volta, gli investimenti nel settore non sembrano essere il problema. A frenare la corsa delle rinnovabili in Italia sembra essere, secondo il rapporto, la complessità delle norme e dei regolamenti del nostro Paese in materia.
Questo rallenterebbe lo sviluppo del mercato e causerebbe anche un aumento dei costi. I tempi di attesa lunghissimi per ottenere le autorizzazioni, infatti, spingono meno impianti a partecipare nelle aste e causano problemi organizzativi e di pianificazione.
È necessario fare chiarezza, ora più che mai, sulle procedure e i tempi di rilascio dei permessi.
Inoltre, gli operatori sono in attesa di capire la portata degli interventi che il governo Draghi ha inserito nella documentazione trasmessa all’Unione Europea per ottenere i fondi del Next Generation Ue.
Nel frattempo, prudentemente, preferiscono aspettare e rimandare la loro partecipazione alle prossime aste con il nuovo regolamento.
Non è un caso che nell’ultima asta del Gse (Gestore dei Servizi Energetici) la domanda delle imprese abbia coperto appena il 12% della capacità offerta.
Il Pnrr e le prospettive di crescita delle rinnovabili
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) prevede 5,9 miliardi di euro fino al 2026 per il settore delle rinnovabili, ma potrebbe non bastare per rimettere l’Italia al passo con l’Europa.
Secondo Davide Chiaroni, vicedirettore dell’Energy & Strategy Group, soltanto per centrare gli obiettivi del Piano energia e clima 2030 del precedente governo, le installazioni dovrebbero crescere del 175%.
La soluzione proposta da più parti è quella di una semplificazione dell’iter autorizzativo e un ammodernamento degli impianti e dell’infrastruttura di trasmissione.
Nell’ultimo anno sono state introdotte alcune norme a riguardo ma, secondo il rapporto del Politecnico e le opinioni degli operatori del settore, mancano ancora interventi davvero mirati per rilanciare il mercato delle rinnovabili in Italia. Manca un po’ di coraggio in più.
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Idrogeno, l’Italia può diventare hub europeo
Il nostro Paese ha tutte le carte in regola per diventare di cruciale importanza per la transizione energetica, che secondo i piani dell’Unione Europea, porterà all’abbandono delle fonti d’energia fossili entro il 2050.
Lo afferma un importante studio realizzato da The European House – Ambrosetti, in collaborazione con Snam, intitolato H2 Italy 2050: una filiera nazionale dell’idrogeno per la crescita e la decarbonizzazione dell’Italia.
Lo studio, presentato qualche giorno fa al forum di Cernobbio 2020, mette in luce le considerevoli prospettive del sistema Italia nella transizione energetica dell’Europa.
Siamo in prima linea
Il nostro Paese può, dunque, assumere un ruolo di primo piano nella realizzazione e il consolidamento della filiera dell’idrogeno in Europa.
Oltre vantare una vastissima e molto efficiente rete di distribuzione del gas su tutto il territorio, l’Italia ha una posizione geografica perfetta, tra Europa e Africa, che favorisce le importazioni.
Sarà possibile importare idrogeno, prodotto in Nord Africa utilizzando l’energia solare, a un costo del 10-15% inferiore rispetto alla produzione nazionale. Questo grazie alla maggiore disponibilità di terreni, l’elevato irraggiamento e la scarsa variabilità stagionale.
L’Italia ha, perciò, la possibilità di diventare il ponte infrastrutturale tra l’Europa e il continente africano, favorendo la diffusione dell’idrogeno anche negli altri Paesi europei.
Inoltre, l’Italia, seconda nazione manifatturiera del Continente, è all’avanguardia nei settori collegati e cruciali:
- primo produttore in Europa nella produzione di tecnologie termiche per l’idrogeno (quota di mercato del 24%)
- secondo produttore in Europa nelle tecnologie meccaniche per l’idrogeno (quota di mercato del 19%)
- secondo produttore in Europa nelle tecnologie per la produzione di idrogeno rinnovabile (quota di mercato del 25%).
Vantaggi e prospettive
Il prezzo dell’idrogeno da rinnovabili continua a scendere. Nell’anno 2000 era 40 volte superiore a quello del petrolio, oggi è stimato che potrà diventare competitivo con alcuni combustibili in soli cinque anni.
Grazie alla sinergia con l’elettrico, l’idrogeno potrà sostituire i combustibili fossili nei settori che contribuiscono in larga parte alle emissioni responsabili del riscaldamento climatico.
Entro il 2050, infatti, potrebbe soddisfare circa un quarto della domanda di energia del Paese, una quota che permetterebbe al Paese di ridurre le emissioni di 97,5 milioni di tonnellate di CO2eq (- 28%).
Pensiamo alle industrie chimiche e siderurgiche e al trasporto pesante su gomma, ma anche al trasporto ferroviario non elettrificato e al settore residenziale, in particolare il riscaldamento. L’introduzione dell’idrogeno rappresenterà una rivoluzione e contribuirà fortemente al raggiungimento degli obbiettivi di decarbonizzazione.
Anche dal punto di vista economico sarà notevole l’impatto sul Pil e sull’occupazione.
Si stima, infatti, un valore aggiunto sul Pil (diretto, indiretto e indotto) tra i 22 e i 37 miliardi di euro al 2050. Contributo che sarà riconducibile anche all’aumento dell’occupazione, con la possibile creazione di nuovi posti di lavoro tra 320.000 e 540.000 al 2050.
Un piano per massimizzare i benefici
Secondo lo studio H2 Italy 2050 per sfruttare al massimo le numerose opportunità offerte dall’idrogeno l’Italia dovrebbe elaborare un piano costituito da sei punti o azioni cruciali:
- elaborare una visione e una strategia di lungo termine;
- creare un ecosistema dell’innovazione e accelerare lo sviluppo di una filiera industriale dedicata attraverso la riconversione dell’industria esistente e l’attrazione di nuovi investimenti;
- supportare la produzione di idrogeno decarbonizzato su scala nazionale;
- promuovere un’ampia diffusione dell’idrogeno nei consumi finali;
- incentivare lo sviluppo di competenze specialistiche sia per le nuove figure professionali sia per accompagnare la transizione di quelle esistenti;
- sensibilizzare l’opinione pubblica e il mondo dell’impresa sui benefici derivanti dall’impiego di questo vettore.
L’Italia ha di fronte un’opportunità con notevoli e molteplici prospettive per il futuro. Ci auguriamo che la nostra classe dirigente sappia guidare il Paese verso un ruolo di primo piano nel fondamentale settore dell’energia.
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Economia circolare: il modello economico del futuro
Un mare di rifiuti
I rifiuti fanno parte della nostra vita. Tutto ciò che produciamo e poi consumiamo produce materiali di scarto che costituiranno un problema al momento dello smaltimento.
Solamente nell’Unione europea, ogni anno si producono più di 2,5 miliardi di tonnellate di rifiuti.
Di questa enorme mole di rifiuti, appena il 53,2 % viene trattata in operazioni di recupero (dati UE del 2016): in particolare, sono stati destinati al riciclaggio il 37,8 % del totale dei rifiuti trattati, mentre 9,9% alla colmatazione e il 5,6% al recupero energetico.
Di tutto il restante 46,8 %, il 38,8% finisce in discarica, l’1% è sottoposto a incenerimento senza recupero energetico e l’ultimo 7% viene smaltito in altro modo.
I dati sono molto diversi a seconda degli Stati membri della UE. Alcuni Paesi, come Grecia, Bulgaria, Romania, Finlandia e Svezia, utilizzano ancora largamente le discariche mentre altri, come Italia e Belgio, hanno percentuali molto elevate di riciclaggio.
Il ciclo del consumo
I rifiuti esistono in quanto prodotti diretti del ciclo del consumo che si attua nel nostro sistema economico. Le materie prime vengono estratte, o semplicemente prelevate in natura (petrolio, metalli, legno, minerali, etc…), e quindi trasformate dal sistema industriale in beni o servizi di vario genere: dagli oggetti in plastica ai materiali per l’edilizia, dai mobili ai componenti per apparecchiature elettroniche.
È il modello economico lineare ‘take-make-dispose’, che si basa sull’accessibilità di grandi quantità di risorse ed energia. Un modello sempre meno in linea con realtà del nostro pianeta.
È facile intuire come un sistema che consuma a gran ritmo le risorse del pianeta e stipa in discarica gli scarti di tale processo, nonché i prodotti a fine vita, sia ormai insostenibile a lungo termine.
Proprio per questo motivo è stata elaborata una nuova concezione dell’economia che tenesse conto della necessità di preservare le risorse naturali e l’integrità dell’ambiente, la cosiddetta “economia circolare.”
Economia circolare: il rifiuto è una risorsa
In una economia circolare i rifiuti non esistono. Ogni oggetto o prodotto è progettato a priori con l’intento di rendere possibile il suo reinserimento nel ciclo dei materiali, oltre che il suo smontaggio e riparazione.
L’economia circolare, infatti, è pensata per potersi rigenerare da sola, pianificando il riutilizzo dei materiali in successivi cicli produttivi e, di conseguenza, riducendo al massimo gli sprechi.
I principi cardine dell’economia circolare
Siamo di fronte a un ripensamento globale e radicale del modello produttivo classico, con l’intento di abbandonare la tendenza allo sfruttamento estremo delle risorse naturali con l’unico scopo di massimizzare i profitti.
Adottare un approccio circolare significa riprogettare tutte le fasi della produzione, senza perdere di vista l’intera filiera dei prodotti.
Secondo la Fondazione Ellen Mc Arthur, profondamente impegnata sul fronte del no-profit e grande sostenitrice dell’economia circolare, sono 5 i criteri fondamentali da tenere in considerazione nella creazione del modello circolare:
- Eco progettazione – Progettare i prodotti pensando fin da subito al loro impiego a fine vita, quindi con caratteristiche che ne permetteranno lo smontaggio o la ristrutturazione.
- Modularità e versatilità – priorità alla modularità, versatilità e adattabilità del prodotto affinché il suo uso si possa adattare al cambiamento delle condizioni esterne.
- Energie rinnovabili – Affidarsi ad energie prodotte da fonti rinnovabili favorendo il rapido abbandono del modello energetico fondato sulle fonti fossili.
- Approccio sistemico – Pensare in maniera olistica, avendo attenzione all’intero sistema e considerando le relazioni causa-effetto tra le diverse componenti.
- Materiali di recupero – Favorire la sostituzione delle materie prime vergini con materie prime seconde provenienti da filiere di recupero che ne conservino le qualità.
E i vantaggi per le imprese?
La domanda è d’obbligo, dal momento che sono proprio le imprese a essere in prima linea in questo processo riconfigurazione del modello economico.
Col passaggio a un modello circolare, grazie alla prevenzione dei rifiuti, l’ecodesign e riutilizzo dei materiali, le imprese europee godrebbero di un risparmio netto di ben €600 miliardi. Una cifra pari all’8% del fatturato annuo. Allo stesso tempo si potrebbero abbattere le emissioni totali annue di gas serra del 2-4%.
Inoltre, in aggiunta ai vantaggi economici, la transizione potrebbe garantire:
- Una riduzione della pressione sull’ambiente
- Una maggiore disponibilità di materie prime
- L’aumento della competitività
- Nuovo impulso all’innovazione e alla crescita economica
- Un significativo incremento dell’occupazione, stimato in zona UE, pari a 580.000 nuovi posti di lavoro
Il modello economico circolare si propone come una svolta storica nell’economia europea e mondiale, con la promessa di migliorare ulteriormente il nostro tenore di vita senza, però, come è accaduto in passato, rischiare di prosciugare le inestimabili risorse naturali che abbiamo a disposizione.
Se sei un imprenditore e ti chiedi se la tua azienda possa rientrare nel concetto di circolarità dell’economia, contattaci per una consulenza!
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GREEN NEW DEAL: L’Italia deve ripartire puntando sulla sostenibilità
Risale a gennaio di quest’anno l’annuncio dell’Unione Europea dello stanziamento di 1000 miliardi di euro per realizzare un Green Deal e raggiungere l’obiettivo delle emissioni zero entro il 2050.
Il piano di investimenti si svolgerà nell’arco di 10 anni e impegnerà circa un quarto del bilancio della UE.
Si tratta di una svolta nella lotta ai cambiamenti climatici, che viene a coincidere con uno dei periodi più difficili che l’Europa abbia attraversato dal Dopoguerra ad oggi.
L’epidemia del Covid-19, che minaccia di prolungarsi fino al prossimo anno, sta mettendo a dura prova l’economia di tutti i paesi con migliaia di attività costrette a chiudere e aiuti statali che, in molti casi, si fanno attendere.
Per questi motivi potremmo trovarci di fronte a un’occasione irrinunciabile per rilanciare l’economia italiana investendo sulla sostenibilità ambientale.
Il mondo delle imprese si mobilita
Proprio verso l’obbiettivo di una ripresa verde, è rivolto il manifesto “Uscire dalla pandemia con un nuovo Green Deal per l’Italia”, firmato da 110 esponenti di importanti imprese, enti e associazioni.
Quello proposto, è un approccio basato su un’economia circolare, attraverso cui affrontare le minacce globali, come il riscaldamento climatico e le pandemie, e allo stesso tempo, dare impulso all’economia.
“Servono misure per rendere le nostre società, i nostri sistemi sanitari e la nostra economia più resilienti nei confronti delle pandemie, ma anche per affrontare altre minacce per il nostro futuro . Innanzitutto la grande crisi climatica, alimentata da un modello di economia lineare ad elevato consumo di energia fossile e spreco di risorse naturali”. Si legge nel manifesto.
Valorizzare “le migliori potenzialità dell’Italia: quelle legate alle produzioni di qualità, sempre più green; quelle in cui ha raggiunto livelli di eccellenza, come il riciclo dei rifiuti, pilastro dell’economia circolare, l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili di energia; quelle del nostro modello di agricoltura sostenibile e delle altre attività della bioeconomia rigenerativa; quelle delle città, da rilanciare con un vasto programma di rigenerazione urbana in chiave green; quelle dell’importante capitale naturale, necessario per il rilancio di diverse attività economiche come il turismo; quelle della transizione a basse emissioni e con carburanti alternativi verso la mobilità decarbonizzata, elettrica e condivisa e quelle dell’innovazione digitale”.
Il messaggio è chiaro. Le imprese italiane, quelle che sostengono il Paese intero, sono pronte al cambiamento e ad abbracciare nuove filosofie produttive. Il Paese è pronto a lasciarsi alle spalle il passato e progredire.
Questo documento verrà invitato al Parlamento, al Governo e, naturalmente, alle istituzioni europee, con l’auspicio che gli stanziamenti previsti siano utilizzati in modo efficace.
Il futuro è a portata di mano
Quella del Green New Deal una sfida che nei prossimi dieci anni ci porterà a cambiare il nostro modo di consumare, di costruire e di alimentarci.
Gli ambiti in cui sarà necessario intervenire sono svariati: la mobilità e mezzi di trasporto, la produzione dell’energia, l’efficienza energetica degli edifici, le crisi industriali che minacceranno i posti di lavoro, l’agricoltura, etc…
Sta iniziando una fase complessa della nostra storia, che, però, porta con sé la promessa di catapultarci in una nuova era di progresso.
L’epidemia ci sta mettendo a dura prova, ma la crisi che si preannuncia potrebbe trasformarsi in una rivoluzione.
Non resta che chiedersi: Saremo all’altezza della sfida?
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