
Fotovoltaico, crescita incoraggiante di installazioni e produzione nel 2022
Il fotovoltaico ha trascinato la crescita di potenza rinnovabile installata (e quella della produzione elettrica) nel primo trimestre del 2022, lo ha mostrato l’Osservatorio FER di Anie Rinnovabili con l’analisi dei dati Gaudì di Terna.
Tra gennaio e marzo 2022 le nuove installazioni di impianti fotovoltaici hanno aggiunto al sistema di produzione elettrica ben 443 MW. Il trend è stato positivo in tutte le regioni ma, in particolare, la crescita ha interessato Basilicata e Lazio con +1415% e +811%.
Ulteriore ottima notizia è il dato riguardante gli impianti di grandi dimensioni (oltre 1 MW) che rappresentano il 28% della nuova potenza installata.
In flessione, invece, il comparto eolico che ha aggiunto soltanto 11 MW, soprattutto a causa dell’inefficienza dell’iter autorizzativo.
A seguire, troviamo l’idroelettrico che è tornato a crescere: nel primo trimestre 2022 ha visto un aumento di oltre il 53% (+10 MW) rispetto allo stesso periodo nel 2021. Solo un impianto però ha superato il megawatt, quello realizzato a Torino.
Nel complesso, le rinnovabili hanno visto l’installazione di 33.018 nuovi impianti equivalenti a una potenza installata di 454 MW. Si tratta di un balzo del 151% se confrontato con il periodo gennaio-marzo 2021. Come detto, però, la gran parte del contributo è stato dovuto al fotovoltaico che conferma il suo primato nel settore dell’energia green.
Inoltre, le previsioni per il 2022 fanno sperare in un nuovo record. Ne abbiamo parlato in un recente articolo che trovi a questo link.
Cresce la produzione fotovoltaica a maggio 2022
Anche la produzione elettrica rinnovabile ha fatto segnare incrementi interessanti nei primi mesi del 2022, in particolare nel mese di maggio. La drammatica siccità che sta interessando la nostra Penisola ha messo in ginocchio il comparto idroelettrico ma, allo stesso tempo, ha determinato l’aumento della produzione fotovoltaica.
Grazie al solare, infatti, a maggio le fonti rinnovabili hanno contribuito con il 44,6% alla produzione elettrica nazionale, soddisfacendo il 37% dei consumi totali del Paese. La ragione del picco di produzione è da attribuirsi all’anomala temperatura media mensile, superiore di quasi 3 gradi rispetto alla media del periodo.
Read MoreCi auguriamo che questo articolo ti sia piaciuto. Se sei interessato ai temi del risparmio energetico e dell’energia pulita, Futura Energie è il fornitore perfetto per te!
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Transizione ecologica, 60 milioni di green jobs nel 2050
La transizione ecologica è una delle sfide più importanti del nostro tempo. Trasformare il sistema energetico rendendolo a zero emissioni potrà infatti mettere un freno al riscaldamento globale creando, al contempo, milioni di nuovi posti di lavoro.
Le affermazioni che sentiamo spesso secondo cui abbandonare i combustibili fossili porterebbe a un drastico aumento della disoccupazione è, pertanto, un pericoloso mito da sfatare e combattere.
Inoltre, i green jobs e la transizione ecologica non riguardano esclusivamente l’energia ma anche tutti quei settori in cui le competenze in materia di ambiente e sostenibilità si rendendo preziose, sia nella salvaguardia ambientale che nella prevenzione dei disastri climatici.
L’Unione Europea con il pacchetto di interventi Next generation EU e la sua politica finanziaria 2021-27 ha stanziato miliardi di euro per investimenti nel settore green e avviato la transizione energetica e digitale negli Stati dell’Unione. Ciò nell’ottica del raggiungimento di neutralità climatica e sostenibilità ecologica e sociale.
In ritardo è invece la formazione di una forza lavoro qualificata che possa ricoprire i ruoli necessari nell’industria e nelle istituzioni per mettere in pratica la transizione ecologica.
I green jobs in italia
I green jobs possono rappresentare un nuovo propulsore per l’economia dei paesi, contribuendo allo sviluppo mentre creano un futuro sostenibile per le generazioni di oggi e di domani.
In Italia, nel 2019 grazie ai green jobs abbiamo assistito a una crescita delle ore lavorative per i lavoratori del settore agricolo (l’equivalente di 41 giornate lavorative in più) e in quello dei servizi sociali privati (45 giornate lavorative in più). Ad essere in ritardo erano solo il settore edile e l’industria, ma attualmente, grazie a l’Ecobonus e ai vantaggi fiscali per la riqualificazione degli edifici, anch’essi sono tornati a creare lavoro.
Nel nostro Paese sono in particolare i disastri naturali ad alimentare la creazione di green jobs, più che la transizione ecologica. È per questo motivo che questo tipo di figure professionali sono ricercate soprattutto in Molise e Abruzzo, a causa dei frequenti terremoti, e in Piemonte e Liguria, regioni molto soggette a frane e inondazioni.
Questo ruolo che possiamo definire “emergenziale” dei green jobs è però limitante. Le competenze ambientali dovrebbero altresì essere utilizzate nella tutela degli ecosistemi e della biodiversità, oltre che nella razionalizzazione dei consumi energetici e nella gestione delle risorse e dell’acqua.
Nuove competenze green per la transizione ecologica
Secondo la Commissione Europea, entro il 2050 la transizione verso un’economia sostenibile porterà alla creazione di 60 milioni di nuovi posti di lavoro a livello globale.
La domanda da porsi è: siamo pronti a cogliere le occasioni offerte dagli ingenti investimenti e dalle innovazioni che inevitabilmente continueranno a rivoluzionare il mercato del lavoro?
Al momento il ritardo nella formazione di lavoratori specializzati nel settore green è evidente. Sono necessari nuovi professionisti per aziende e amministrazioni, figure che ad oggi scarseggiano. I settori tecnici e STEM (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica) sono pertanto quelli verso cui si dovrebbero orientare sempre più studenti offrendo loro migliori programmi di studio, tecnologie e prospettive di lavorative.
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Decarbonizzazione dell’energia, il G7 si “scansa” ancora
Sulla decarbonizzazione dell’energia dobbiamo registrare l’ennesimo buco nell’acqua. Lo scorso venerdì, al termine del G7 di Berlino, è stato firmato un accordo all’apparenza molto incoraggiante in cui, tuttavia, manca una scadenza entro cui realizzare gli obbiettivi fissati.
Il G7 riunisce i rappresentanti delle economie più forti del pianeta e una risoluzione concretamente ecologista, con una visione a lungo termine, avrebbe potuto essere una svolta per la transizione ecologica.
Nell’accordo raggiunto dai ministri dei sette Paesi troviamo l’obbiettivo di fermare i finanziamenti ai combustibili fossili dirottando circa 33 miliardi di dollari annui verso fonti di energia rinnovabile. Purtroppo, però, a mancare è un dato fondamentale, ovvero il termine entro cui i Paesi si impegnano a decarbonizzare i loro investimenti all’estero. Un dettaglio non trascurabile che, in sostanza, solleva i Paesi da una presa di responsabilità reale e ben definita. Se non esiste un termine fissato dall’accordo allora il processo di decarbonizzazione dei finanziamenti può, teoricamente, durare in eterno.
La stessa obiezione può essere posta agli interventi decisi sul tema del carbone. L’impegno che ci si aspettava dalle maggiori economie mondiale era quello dell’abbandono graduale (phase-out), ma rapido, del carbone nella produzione di elettricità. Inizialmente, il vertice sembrava aver prodotto un accordo concreto e realmente vincolante. Nella prima bozza del documento, infatti, il vertice aveva fissato il phase-out il 2030 ma nella bozza finale non compare più alcuna data.
L’unico impegno corredato di data ad essersi salvato è quello riguardante la decarbonizzazione del mix elettrico. I ministri del G7 si sono impegnati a realizzare “un settore elettrico prevalentemente decarbonizzato entro il 2035”. Appare subito lampante, che con l’aggiunta di un singolo avverbio, i ministri abbiano reso indeterminata e interpretabile anche questa promessa.
Decarbonizzazione dell’energia: un’altra occasione persa
Il mondo industrializzato, quella parte del Pianeta in larga parte responsabile dell’inquinamento e del riscaldamento globale, ha perso l’ennesima occasione per prendere una decisione storica. L’abbandono dei combustibili fossili e in particolare del carbone, il più inquinante, è stato rimandato ancora una volta. Eppure non si tratta di un tema marginale: il riscaldamento globale è il tema del secolo, la minaccia numero uno che l’umanità si trova ad affrontare.
Le manifestazioni dello sconvolgimento climatico sono già visibili, come la crescita dei fenomeni climatici estremi (inondazioni, siccità). Ne avremo un assaggio nei prossimi giorni con l’incombente ondata di calore senza precedenti in arrivo sulla nostra Penisola.
È giunto il momento di pretendere dai nostri rappresentanti in Parlamento azioni concrete e drastiche, prima che sia troppo tardi e la decarbonizzazione dell’energia deve essere uno dei primi punti in agenda. Dobbiamo pretendere un sistema energetico a impatto zero.
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Elettrificare i riscaldamenti per ridurre il consumo di gas
Elettrificare i riscaldamenti sarà una delle mosse strategiche del futuro prossimo per abbattere il consumo di gas e decarbonizzare gli edifici.
Secondo un recente studio condotto da Elemens, il settore immobiliare è cruciale per l’abbattimento dei consumi di combustibili fossili e delle emissioni di anidride carbonica. Lo studio si è occupato di valutare quali sarebbero le conseguenze nel breve e medio periodo (da oggi al 2025 e al 2030) di interventi sugli immobili. In particolare, si tratterebbe di intervenire sull’efficienza energetica delle case in classe G e passare dal tradizionale riscaldamento a gas alle più efficienti pompe di calore.
Il riscaldamento degli edifici in Italia è ancora a gas
Elettrificare i riscaldamenti potrebbe però non essere un processo rapido nel nostro Paese. La maggioranza degli edifici è infatti ancora riscaldata da caldaie a gas, più o meno tecnologicamente avanzate. Su 26 milioni di abitazioni sono ben 17 milioni quelle riscaldate da una caldaia a gas. Non sorprende pertanto che il consumo di gas per riscaldamento costituisca il 43% del totale nazionale: 32 miliardi di metri cubi all’anno.
Le conseguenze sono piuttosto gravi sia sull’ambiente che sulla salute: i riscaldamenti infatti hanno un importante impatto sulla qualità dell’aria delle città e sulle emissioni di CO2 (il 12% del totale nella UE).
Il quadro è preoccupante. Urge lanciare un piano che porti a elettrificare i riscaldamenti nel più breve tempo possibile. La sfida si prospetta difficile ma ci sono alcuni fattori su cui il Governo potrebbe intervenire da subito, in particolare le regole di assegnazione degli incentivi (ecobonus).
Spostare gli incentivi verso pompe di calore ed elettrificazione
Il meccanismo dell’assegnazione degli ecobonus favorisce l’installazione di caldaie a gas di nuova generazione, meno inquinanti e più efficienti, ma per decarbonizzare gli immobili un rinnovamento delle tecnologie non è sufficiente. La strada da seguire è quella del progressivo spostamento degli incentivi verso le opere di efficientamento energetico degli edifici e di elettrificazione dei riscaldamenti.
L’eliminazione dei sussidi ambientalmente dannosi potrebbe partire con la cancellazione in 3 anni delle agevolazioni fiscali sul gas (IVA e accise) per poi proseguire con quella degli incentivi per l’installazione delle caldaie a gas.
I vantaggi di elettrificare i riscaldamenti
I vantaggi del passaggio a sistemi di riscaldamento elettrico sono evidenti. Secondo lo studio di Elemens, il risparmio di energia sarebbe notevole. Ad oggi, la media di consumo di energia finale termica è di 136 KWh/m2/anno (chilowattora al metro quadro annui), cifra che con il passaggio alle pompe di calore scenderebbe a circa 50 KWh/m2/anno.
Nel giro di tre anni, entro il 2025, i consumi di gas potrebbero calare di oltre 5,4 miliardi di metri cubi all’anno; mentre entro il 2030 potrebbe essere risparmiati ben 12 miliardi di metro cubi. Come conseguenza del calo dei consumi di gas si otterrebbe anche una netta riduzione delle emissioni di CO2 (circa 22 milioni di tonnellate stimate) e, naturalmente, un sensibile alleggerimento delle bollette energetiche.
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Fonti rinnovabili record: 320 GW aggiunti nel 2022
Le fonti rinnovabili si avviano a registrare un nuovo record di capacità aggiunta nel 2022. Secondo le previsioni della IEA, l’Agenzia nazionale dell’Energia, nel suo rapporto di maggio (Renewable Energy Market Update), le aggiunte di capacità energetica rinnovabile saranno rilevanti portando a un nuovo record.
Nel 2021, la nuova capacità rinnovabile si era attestata a livello globale sui 295 gigawatt nonostante le difficoltà incontrate nella catena di approvvigionamento, l’aumento dei costi delle materie prime e la lentezza nella realizzazione dei progetti. Un buon risultato che sarà superato nettamente nel 2022: la nuova capacità di fotovoltaico, eolico e le altre fonti rinnovabili toccherà i 320 gigawatt.
A guidare l’ascesa delle fonti rinnovabili sarà ancora una volta, secondo il rapporto di IEA, il fotovoltaico con il 60% del totale della capacità aggiuntiva nell’anno corrente. A seguire troveremo poi l’energia eolica e quella idroelettrica.
La crescita delle fonti rinnovabili in Europa
Anche l’Unione Europea partecipa a questo interessante trend di crescita. Nel 2022 è previsto che la nuova capacità rinnovabile aumenterà del 30% con 36 nuovi gigawatt, superando così il precedente record di 35 gigawatt che risale a dieci anni fa. Una crescita fondamentale per ammortizzare le conseguenze del graduale abbandono del gas russo, che però dovrà essere coadiuvata da politiche di riduzione della domanda energetica attraverso una maggiore efficienza. Inoltre, è necessario che i Paesi si adoperino per velocizzare le autorizzazioni e proporre adeguati incentivi economici. La strada verso l’indipendenza energetica e lotta al cambiamento climatico passano da queste tappe.
Il futuro rimane incerto
Le previsioni di crescita delle rinnovabili per il 2022 andranno perciò oltre le aspettative. Il forte contributo di Cina, Unione Europea e America del Sud hanno infatti sopperito a una performance al ribasso degli Stati Uniti. Il mercato americano è infatti condizionato dall’incertezza derivante da nuovi incentivi a eolico e solare, oltre che dalla strategia di contrasto alle importazioni di fotovoltaico dalla Cina e dal Sud-Est asiatico.
Inoltre, a causa di politiche poco incisive, la crescita delle rinnovabili a livello mondiale è destinata a rallentare e stabilizzarsi nel 2023. Per il solare ci sarà un’ulteriore crescita che sarà vanificata da un calo del 40% nella nuova capacità dell’energia idroelettrica e dallo stallo dell’energia eolica.
Secondo le previsioni infatti il fotovoltaico toccherà i 200 gigawatt nel 2023. La crescita del solare sta accelerando soprattutto in Cina e India, grazie alla maggiore convenienza rispetto al carbone e al sostegno politico di progetti su larga scala.
Tuttavia, per scongiurare lo stallo delle fonti rinnovabili nel loro complesso è necessario che vengano implementate fin da subito politiche incisive che accelerino la realizzazione di nuovi progetti.
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DL Energia: novità su permessi e autorizzazioni impianti fotovoltaici
Il Dl Energia, chiamato anche decreto bollette, è diventato legge il 21 aprile con l’approvazione al Senato. Come abbiamo spiegato in un recente articolo, il decreto contiene interventi sul caro bollette e a favore delle imprese, oltre che incentivi alla mobilità sostenibile e alla semplificazione dell’iter autorizzativo per l’installazione di impianti fotovoltaici.
In questo articolo ci concentreremo proprio sulla semplificazione delle norme che riguardano i pannelli solari in ambito residenziale, industriale e agricolo.
DL Energia: Impianti fotovoltaici e termici
La novità più rilevante che troviamo nel decreto energia è sicuramente la comparazione a interventi mi manutenzione ordinaria di:
- installazione di impianti solari fotovoltaici e termici su edifici e su strutture e manufatti fuori terra (zona A), a prescindere dalla modalità della realizzazione
- la realizzazione delle opere atte alla connessione alla rete elettrica
Ciò significa che le installazioni non sono più subordinate all’acquisizione di permessi, autorizzazioni o atti amministrativi di assenso: una notevole semplificazione dell’iter che dovrebbe favorire e velocizzare l’aumento di capacità rinnovabile tra i privati.
A questa disposizione il decreto bollette distingue alcune eccezioni. In particolare sono esclusi gli impianti installati su beni paesaggistici di grande interesse pubblico: le ville, i parchi, giardini e gli immobili che hanno valore estetico e storico. Per casi di questo tipo, fotovoltaico, solare termico e opere di connessione alla rete elettrica resta necessario ottenere il nulla osta paesaggistico.
Tuttavia, nel caso in cui i pannelli siano integrati nelle coperture e non visibili dagli spazi pubblici esterni e dai punti di vista panoramici, e che i detti manti di copertura non siano realizzati in materiali della tradizione locale, non sono richieste autorizzazioni o atti di assenso.
Anche nel merito della comunicazione di realizzazione degli impianti, il DL Energia semplifica la procedura: per gli impianti di potenza superiore a 50 KW e fino a 200 KW che non necessitano di permessi, autorizzazioni e atti di assenso, basterà il modello unico semplificato.
Le nuove disposizioni del DL Energia per la modifica degli impianti
Anche per i casi di interventi di modifica di impianti di produzione di energia elettrica alimentati a fonti rinnovabili le disposizioni hanno lo scopo di semplificare le procedure. Per effettuare modifiche, infatti, è possibile seguire l’iter semplificato. Nel caso in cui la modifica non sostanziale comporti l’aumento della potenza installata e necessiti di ulteriori opere connesse, queste ultime vengono autorizzate con la procedura semplificata applicabile all’intervento non sostanziale, tramite dichiarazione di inizio lavori asseverata (Dila).
Aree idonee e impianti agrivoltaici
Il decreto applica la Procedura abilitativa semplificata (Pas) anche nei casi di connessione alla rete elettrica di alta tensione e alle relative opere di connessione.
Inoltre, la Pas viene estesa ai progetti di nuovi impianti fotovoltaici agricoli (agrivoltaici), di potenza non superiore a 10 MW, nelle aree idonee (nel raggio di tre chilometri dalle aree industriali, artigianali e commerciali).
Il decreto energia introduce anche deroghe alla norma che vieta, per gli impianti agrivoltaici, di accedere agli incentivi statali a favore delle fonti energetiche rinnovabili.
Impianti flottanti e aree industriali
La stessa operazione riguarda gli impianti fotovoltaici flottanti, ovvero installati sulla superficie di invasi e di bacini idrici, inclusi quelli di cave dismesse e a copertura dei canali di irrigazione. In questo caso la Pas si applica agli impianti flottanti di potenza sino a 10 MW, con annesse opere funzionali alla connessione alla rete elettrica.
Cambiano infine anche le norme per l’installazione del fotovoltaico nelle aree industriali. Il decreto dà ora la possibilità di installare impianti solari fotovoltaici e termici per una superficie fino al 60% dell’area industriale di pertinenza.
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Autoconsumo collettivo, aggiornate le norme delle comunità energetiche
L’autoconsumo collettivo, reso possibile dalla costituzione di comunità energetiche, è una delle tendenze più interessanti nel settore delle energie rinnovabili. Produrre e condividere l’energia localmente potrebbe infatti essere il modello energetico del futuro e sembrano averlo capito anche le istituzioni che, faticosamente, stanno aggiornando le norme relative alle CER (comunità energetiche rinnovabili).
L’11 aprile scorso il Gestore Servizi Energetici (GSE) ha aggiornato le regole a un anno e mezzo dall’ultima versione del 22 dicembre 2020.
Con questo aggiornamento si prospetta una maggiore semplificazione dell’iter burocratico e un’estensione dei soggetti che possono aderire alle CER.
Le nuove regole per l’autoconsumo collettivo
Tra le principali modifiche al quadro normativo delle comunità energetiche troviamo:
1) l’introduzione della possibilità di creare nuove unità di produzione nel caso cui siano presenti sezioni di impianto autonome, indipendenti e misurabili;
2) l’introduzione di nuovi tipi di CER dal punto di vista giuridico, dando la possibilità a tutti i consumatori, gli azionisti e le autorità locali di partecipare;
3) la rivisitazione della definizione di “condominio” che viene estesa fino a comprendere poli logistici, interporti, centri commerciali e distretti industriali, considerati “supercondomini”;
4) l’introduzione di nuove modalità e tempistiche di calcolo dei contributi economici
5) conferma della disciplina definita dal decreto-legge 162/2019 (il cosiddetto “Milleproroghe”) in attesa della pubblicazione dei provvedimenti previsti dal Dlgs 199/2021 (RED 2)
L’importanza delle comunità rinnovabili: ambiente, energia, comunità
Le comunità energetiche rinnovabili (CER) sono associazioni di consumatori di energia elettrica che, oltre a utilizzare l’elettricità, la producono grazie a un impianto privato o condominiale. I soggetti diventano così dei “prosumer”: allo stesso tempo, consumatori e produttori.
Inoltre, l’energia prodotta tramite fonti rinnovabili viene messa in rete, ovvero condivisa con gli membri della comunità.
Una CER è quindi un soggetto giuridico fondato sulla partecipazione aperta e volontaria, è autonomo rispetto alla rete nazionale (off grid) ed è controllato da azionisti o membri residenti nei dintorni degli impianti di generazione.
Lo scopo delle CER è dare alla comunità benefici di tipo ambientale, economico, sociale e, in alcuni casi, profitti finanziari. Secondo il più recente studio Elemens-Legambiente infatti l’autoconsumo collettivo reso possibile dalle CER può ridurre:
- i costi dell’energia in bolletta fino al 25% per le utenze domestiche e condominiali
- fino al 20% della spesa energetica delle PMI, delle scuole, dei distretti artigiani e altro
In una fase storica di profonda instabilità economica e crisi energetica, le comunità energetiche rappresentano un fattore di velocizzazione della transizione energetica e di supporto economico alle famiglie e alle imprese.
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GNL al posto del gas russo? Una scelta disastrosa
Il GNL è una delle strade che il governo italiano sta percorrendo per ridurre la nostra dipendenza energetica dal gas russo.
Come abbiamo spiegato in un recente articolo dedicato alle alternative all’importazione di gas dalla Russia di Putin, in quanto a consumi l’Italia in Europa è seconda solamente alla Germania, che però possiede una popolazione 20 milioni di abitanti in più. Nella produzione di elettricità, inoltre, deteniamo addirittura il primato europeo di energia generata utilizzando il metano, con il 50% del totale. E da dove proviene tutto questo gas? Il 40% del fabbisogno di gas naturale del nostro Paese è soddisfatto proprio dalla Russia di Putin.
Per queste ragioni siamo uno dei Paesi maggiormente esposti all’attuale crisi energetica che ha mandato alle stelle le bollette.
Affrancarsi da questa dipendenza, che ci rende di fatto finanziatori di una guerra, è una priorità del Governo ma le proposte avanzate sono discutibili. Si è parlato di nucleare e persino di un ritorno al carbone, ma in questo articolo vi vogliamo parlare del gas naturale liquefatto o GNL e dei cosiddetti rigassificatori.
Cos’è il gas naturale liquefatto (GNL)
Il GNL è una miscela di idrocarburi costituita in gran parte da metano, con una percentuale tra il 90 il 99%, e da altri gas, etano, propano e butano, in quantità minori. Attraverso un processo di liquefazione, in cui viene raffreddato fino a -162 gradi centigradi, il gas diventa liquido e riduce il proprio volume di circa 600 volte. In queste condizioni può quindi essere trasportato all’interno di serbatoio o immesso nei metanodotti.
L’Italia importa già GNL dall’estero, navi metaniere arrivano al largo delle coste italiane da vari Paesi, tra cui Nigeria, Qatar, Algeria e Stati Uniti, trasportando circa 130.000 metri cubi di gas ognuna. Un enorme volume di gas liquido che deve essere riportato allo stato gassoso. A questo punto interviene un’infrastruttura fondamentale nel processo: il rigassificatore.
I rigassificatori: il GNL deve tornare gassoso
I rigassificatori sono enormi infrastrutture che trasformano il GNL da liquido a gassoso per poi immetterlo nella rete nazionale. In Italia ne abbiamo tre: uno onshore (sulla terra ferma) a Panigaglia in provincia di La Spezia e due offshore (al largo) a Livorno e a Porto Viro in provincia di Rovigo.
Navi metaniere con circa 130.000 metri cubi di gas ognuna – vale la pena di ripeterlo – si avvicinano moltissimo alle coste per trasferire il loro carico ai rigassificatori. Il pericolo rappresentato da questo processo è evidente. Cosa accadrebbe nel caso in cui una metaniera subisse un incidente?
Una fuoriuscita di gas genererebbe una nube che alla prima scintilla provocherebbe un’esplosione apocalittica. Inoltre, come fa notare Nicola Armaroli (dirigente del CNR) nell’intervista che potete vedere qui sotto, dal punto di vista ambientale la scelta di importare più GNL dagli USA è disastrosa.
#RivediLa7 #nonelarena Il piano del governo per sostituire le forniture russe prevede di potenziare gli impianti per rigassificare il #gas in arrivo via nave. @carlo_brx ha visitato uno dei 3 #rigassificatori presenti in Italia.
— Non è l'Arena (@nonelarena) March 11, 2022
📺Video completo su @La7tv https://t.co/Mdu0QlrY4V pic.twitter.com/Vyo8udSD0p
La scelta potenzialmente disastrosa del governo italiano
I rischi legati ai rigassificatori e all’impatto ambientale degli stessi sembra essere ignorato dal governo italiano. Recentemente, il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, ha dichiarato a Rai3 l’intenzione di aumentare le importazioni di GNL e investire a breve in un nuovo impianto di rigassificazione (galleggiante), oltre a incrementare l’efficienza degli impianti esistenti. Inoltre, il ministro ha parlato di costruire altre infrastrutture nei prossimi due anni.
L’obbiettivo è rimpiazzare circa 15-16 miliardi di metri cubi di gas russo con nuovi fornitori entro la primavera inoltrata e raggiungere l’indipendenza energetica entro 24-30 mesi.
Il rischio, tuttavia, appare davvero inaccettabile, soprattutto se si considera la grandissima potenzialità delle rinnovabili in Italia. Lo abbiamo spiegato in questo articolo, sul nostro territorio sono pronti progetti di energie rinnovabili per 60 GW (solo un terzo del totale dei progetti fermi) ma la burocrazia e le titubanze della popolazione li bloccano.
La soluzione è guardare al futuro: transizione energetica!
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Solare termico: come risparmiare sulla bolletta del gas
Il solare termico è la scelta giusta per chi ha deciso di risparmiare sulla bolletta del gas e rendersi più indipendente dal punto di vista energetico. Grazie alla tecnologia dei pannelli solari termini, infatti, si possono realizzare impianti solari che producono acqua calda sanitaria e acqua per il riscaldamento a costo zero.
Il solare termico rappresenta quindi una ottima alternativa al metano ad uso domestico e permette di abbattere fortemente i costi del riscaldamento e la bolletta del gas.
In questo articolo, ti spieghiamo il funzionamento di questa tecnologia e ti mostriamo i vantaggi e i costi dell’installazione di un impianto.
Partiamo!
Come funziona il solare termico
I pannelli solari termici sono in grado di convertire la luce solare in calore e con esso scaldare un fluido. Per fare questo i pannelli sfruttano l’effetto serra intrappolando i raggi solari impedendo a essi di disperdersi nell’atmosfera. Così il calore rimane all’interno del pannello e viene impiegato per scaldare l’assorbitore, un componente che poi lo trasferirà al fluido termovettore che scorre nelle tubazioni del pannello. L’acqua, così riscaldata, sarà quindi disponibile all’utilizzo o potrà essere raccolta e immagazzinata.
Esistono varie tipologie di impianti solari termici che si possono distinguere in base alla modalità di circolazione del fluido e alla tecnologia che sfrutta il collettore. Descriviamo le più importanti.
Solare termico a circolazione naturale e forzata
In base alla modalità di circolazione dell’acqua si distinguono due tipologie di pannelli solari termici: a circolazione naturale e a circolazione forzata.
Nella prima tipologia la circolazione dell’acqua è assicurata dall’azione della differenza di densità, questa fa in modo che i liquidi caldi tendano a spostarsi verso l’alto mentre quelli più freddi scendono verso il basso. Affinché sia sfruttare questo principio è necessario che il serbatoio sia posizionato al di sopra del pannello. Questa soluzione è attualmente meno utilizzata perché durante l’inverno il serbatoio, molto esposto, riduce l’efficienza dell’impianto.
La tipologia si solare termico a circolazione forzata, invece, consiste in impianti che prevedono l’installazione di una pompa di circolazione. Grazie all’azione della pompa, in questo tipo di impianto è possibile posizionare il serbatoio di accumulo lontano dai pannelli. Una caratteristica che rende la tipologia a circolazione forzata più facile da adattare alla struttura degli edifici e da integrare dal punto di vista architettonico.
Per alla sua versatilità, questa tipologia viene impiegata con successo anche in ambito non domestico, come ad esempio su capannoni industriali.
Altre tipologie
Ulteriori distinzioni tra diverse tipologie di impianti termici solari dipendono dalla tecnologia utilizzata nei collettori. Ecco tre tipologie di pannelli:
- Pannello solare piano vetrato e scoperti
- Pannello solare termico sottovuoto
- Pannello solare termico selettivo
I collettori piani vetrati presentano una camera isolata composta da una lastra di vetro trasparente e una scocca isolata sottostante. Questi due componenti creano l’effetto serra permettendo il passaggio delle radiazioni in ingresso e bloccando quelle in uscita. All’interno della camera è montato il già citato assorbitore che trasferisce il calore all’acqua circolante nei tubi. Una variante di questa tecnologia sono i collettori scoperti, ovvero esposti direttamente alla luce solare, che però hanno un’efficienza minore.
I pannelli solari termici sottovuoto, invece, hanno una struttura molto diversa: sono costituiti da una serie di tubi vetrati all’interno dei quali sono montati assorbitori isolati con il vuoto. Si tratta di una tipologia più costosa ma decisamente più efficiente e adatta anche a luoghi in cui le condizioni climatiche sono sfavorevoli.
Infine, i pannelli solari termici selettivi sono una tipologia simile a quella dei pannelli piani vetrati ma migliore in termini di efficienza energetica. A renderli più efficienti è un trattamento della superficie vetrata che riduce la dispersione di energia causata dalla capacità del pannello di riflettere la luce.
Quanto conviene il solare termico?
Come detto, un impianto solare può abbattere la bolletta del gas producendo acqua calda sanitaria e per il riscaldamento. È possibile, infatti, risparmiare fino al 60% sull’acqua calda e fino al 35-40% sul consumo di energia complessivo dell’edificio.
Per assicurare il massimo rendimento, naturalmente, è bene abbinare ai pannelli solari termici tecnologie a basso consumo come caldaie a condensazione, sistemi di riscaldamento a pavimento e pompe di calore.
Un ulteriore vantaggio è rappresentato dall’aumento del valore dell’immobile, perché l’installazione di un impianto solare termico ne migliora la classe energetica. Si tratta perciò di un ottimo investimento che è reso più accessibile dai vari sgravi fiscali e bonus previsti dal Governo.
Read MoreFacciamoci sentire boicottando tutti insieme il regime russo e la sua guerra in Ucraina: aderiamo allo STOP DELL’USO DEL GAS.
Leggi il nostro articolo e FIRMA LA PETIZIONE QUI –> https://chng.it/QbPPhtx4g5

STOP al gas e STOP alla guerra: facciamoci sentire!
Diciamo stop alla guerra e stop al gas! Rifiutiamo di continuare a sostenere scelte politiche assurde e prive di una visione a lungo termine, mandiamo un segnale firmando questa petizione online: “Spegni il Gas per il NO ALLA GUERRA” .
A lanciarla siamo stati proprio noi di Futura Energie, noi che da sempre crediamo in un futuro di sostenibilità ambientale e pace tra i popoli.
La crisi energetica, già iniziata prima della guerra in Ucraina, ha fatto impennare i costi del gas naturale e l’Italia è stato uno dei Paesi più colpiti. Lo stiamo constatando nelle bollette dell’energia, gli aumenti sono davvero importanti: come abbiamo già riportato, i dati forniti da ADICONSUM mostrano che i rincari toccano il 65% sulle bollette elettriche e il 59% su quelle del gas naturale.
Di conseguenza, tra le questioni di cui si discute nel Paese in questo periodo c’è la dipendenza dell’Italia dal metano importato dalla Russia: il 40% del gas che utilizziamo, infatti, proviene proprio da lì.
Rinunciare al gas significherebbe boicottare il regime di Putin lanciando un forte NO alla guerra.
Sorge quindi una domanda: possiamo rinunciare al gas, possiamo creare un sistema energetico che ci renda energeticamente indipendenti e padroni del nostro destino?
Vediamo quali sono le opzioni a disposizione.
Nucleare e carbone come alternativa al gas? No, grazie!
Ne abbiamo parlato spesso negli ultimi tempi, in particolare in un recente articolo (puoi trovarlo a questo link), perché ogni volta che c’è una crisi i sostenitori delle fonti fossili e del nucleare tornano a farsi sentire.
Pensare di rinunciare al gas grazie all’apporto di nuove centrali nucleari o riattivando vecchie centrali a carbone dismesse significa rivolgere lo sguardo al passato, significa proporre un falso modello di progresso che ignora i temi ambientali e catapulta il Paese 30 anni indietro. Non si può risolvere un problema con la stessa mentalità che lo ha creato (concetto attribuito ad Albert Einstein).
Inoltre, produrre energia elettrica da nucleare e carbone è ormai economicamente svantaggioso: il costo dell’energia da nucleare, ad esempio, è circa 3 volte di quella da fotovoltaico e di quella da eolico.
Andiamo oltre, facciamo scelte sulla base di una visione a lungo termine.
In Italia abbiamo già progetti per centinaia di GW di rinnovabili pronti per essere installati, sbloccarne una parte darebbe immediatamente un grande impulso al settore e ci avvicinerebbe all’indipendenza energetica. Ecco la reale alternativa.
Puntiamo sulla transizione ecologica!
La nostra petizione online su Change.org

Read MoreSTOP AL GAS SUBITO.
La guerra è una cosa fuori da ogni logica! Deve cessare immediatamente!
Non è ammissibile anteporre gli interessi del gas russo agli interessi dell’umanità!
La strada maestra è l’indipendenza energetica che deve passare necessariamente per le fonti rinnovabili, ovviamente ciò esclude il rimettere mano alle fonti fossili come le trivelle selvagge, il nucleare e il carbone.
È il momento di cambiare in fretta, di cambiare ora. Quella transizione ecologica tanto necessaria per il passaggio ad un’umanità a zero impatto: DEVE INIZIARE ORA!
È davvero questo il retaggio che vogliamo lasciare alle generazioni future? Un mondo pieno di scorie radioattive che non sapremo dove stoccare? Aumento drammatico delle emissioni di CO2?
Cambiare ora è possibile, cambiare ora è un dovere di tutti.
La Guerra non deve rappresentare la scusa “perfetta” per tornare indietro di 30 anni nel processo di transizione verde.
LO STOP AL GAS, è un chiaro messaggio per dire basta alla guerra finanziata anche dal gas, basta alla dipendenza dal gas e dalle fonti fossili.
Attiviamoci tutti ora con una sola voce, l’unica direzione possibile per l’umanità sono le fonti rinnovabili e non quelle fossili.
LO STOP AL GAS per dire chiaramente in modo univoco quale direzione vogliamo.
STOP AL GAS per dire STOP ALLA GUERRA e STOP ALLE FONTI FOSSILI.